Tra le nazioni europee maggiormente attraversate da fermento brassicolo c’è senz’altro la Polonia, nazione dove a partire dal 2011 sono nati numerosi microbirrifci che hanno rapidamente dato vita ad una vivace scena – forte di un consumo nazionale pro capite capace ben superiore da quello italiano - capace di organizzare festival di dimensioni importanti: date ad esempio uno sguardo alle 76 pagine di catalogo delle birre presenti all’ultima edizione del Warsaw Beer Festival, che si è tenuto all’interno dello stadio del Legia Varsavia. In Italia è stato il solito Manuele Colonna a dare la possibilità di assaggiare le prime produzioni polacche, invitando a Roma AleBrowar, Pinta, Artezan e Pracownia Piwa per l’edizione 2014 di EurHop.
C’è da dire che anche in Polonia, come in molti altri paesi europei, la “craft beer revolution” ha significato principalmente andare dietro alle moda del mercato, cercando di imitare le birre d’importazione (americane e non) che arrivavano nei negozi: perché per vendere bisogna soprattutto fare quello che vuole la gente. Molte IPA e molti luppoli americani, anche se lentamente i birrifici stanno ampliando i propri orizzonti: imperial stout, passaggi in botte, birre acide, barley wine e stili belgi. Più raramente vengono riproposti gli stili classici (Baltic Porter, Grodziskie/Grätzer, Lager) anche rivisitati con l’utilizzo di luppoli autoctoni.
La maggior parte dei protagonisti dell’avanguardia polacca sono beerfirm: soluzione necessaria per partire rapidamente in assenza dei finanziamenti per acquistare locali ed impianti di proprietà. I volumi prodotti sono solitamente piccoli, e la richiesta domestica è alta: davvero modesta è quindi la quantità che viene esportata con lo scopo di farsi conoscere anche al di fuori dei confini nazionali. Ben venga quindi l’arrivo in Italia di qualche cartone dalla Polonia, opportunità da non perdere.
Il 5 maggio 2012 debutta AleBrowar: sede operativa a Lebork, ottanta chilometri da Danzica, produzione a Sztum, 150 chilometri di distanza. Bartek Napieraj ha un blog che parla di birre “artigianali” polacche e, soprattutto, straniere. La sua passione per la birra lo porta a viaggiare alla scoperta dei pochi microbirrifici o brewpub polacchi che producono delle Lager in alternativa a quelle industriali; è proprio grazie al beer-hunting che conosce Michał Saks, ex-homebrewer ed a quel tempo birraio in un brewpub di Gdańsk. I due si conoscono ed in poco tempo, assieme a Arkadiusz ‘Arek’ Wenta, gettano le basi per la propria beerfirm AleBrowar.
Per quel che valgono le classifiche di Ratebeer, la beerfirm parte molto bene: nell’anno del debutto (2012) viene eletto miglior nuovo birrificio polacco e in seguito miglior birrificio polacco in assoluto del 2014. L’ultima classifica dei migliori 100 birrifici al mondo secondo Ratebeer ospita anche tre birrifici polacchi, ed uno di questi è AleBrowar. Lo slogan da loro scelto (Hop Heads) la dice lunga sulle birre che vengono prodotte: quattro sono quelle prodotte tutto l'anno (IPA, Black IPA, Amber Ale e Sweet Stout) affiancate da una lunga serie di produzioni stagionali (una birra natalizia, una alla zucca) e diverse single hop IPA che variano a seconda dei luppoli disponibili. Sempre secondo Ratebeer (già che siamo in ballo, balliamo), la Rowing Jack IPA di AleBrowar è la seconda miglior IPA polacca e la quinta miglior birra polacca in assoluto; la ricetta prevede il classico US-05 come lievito, malti Pale Ale, Vienna, Carapils, Acidulated e frumento, luppoli Simcoe, Chinook, Citra, Cascade, Palisade.
Nel bicchiere arriva di un colore che oscilla tra l'arranco ed il dorato, opaco, sormontato da un compatto cappello di schiuma biancastra, cremosa e fine, dall'ottima persistenza. Aroma fresco e pulito, discretamente intenso, che si compone di pompelmo, arancio e mandarino, aghi di pino, frutta tropicale (melone e ananas) e qualche leggera nota "dank". Il naso promette bene, offrendo un bouquet complesso e ben equilibrato che però non trova il suo corrispettivo al palato. C'è la base maltata (pane e miele) a sorreggere l'abbondante luppolatura che prende subito il comando con le sue note resinose e vegetali; è elegante e pulito, intenso senza mai raschiare. Tutto bene, ma la bevuta si esaurisce qui, senza sorprese, tutta giocata sulla resina amara; inutile descrivervi il retrogusto, credo lo abbiate già indovinato. Birra indubbiamente pulita e ben fatta, ma un po' troppo monocorde, almeno per il mio gusto: se invece vi piacciono le spremute di conifera, probabilmente la amerete.
Una specie di IPA "1.0", classica ma forse un po' datata; negli Stati Uniti (soprattutto sulla West Coast) spopolano le IPA succose e fruttate, e la stessa Stone manda in pensione alcune sue birre storiche per sostituirle con una versione "2.0", più attuale, più ruffiana e fruttata, alla moda. Detto questo, il livello di questa Rowing Jack è indubbiamente buono, con un'ottima intensità ed una buona pulizia: non sarà certo originale andare a prelevare in Polonia l'ennesima IPA di cui il mercato è già saturo, ma finché si beve bene una birra che arriva da noi piuttosto fresca e ad un buon rapporto qualità prezzo, perché lamentarsi ?
Nel bicchiere arriva di un colore che oscilla tra l'arranco ed il dorato, opaco, sormontato da un compatto cappello di schiuma biancastra, cremosa e fine, dall'ottima persistenza. Aroma fresco e pulito, discretamente intenso, che si compone di pompelmo, arancio e mandarino, aghi di pino, frutta tropicale (melone e ananas) e qualche leggera nota "dank". Il naso promette bene, offrendo un bouquet complesso e ben equilibrato che però non trova il suo corrispettivo al palato. C'è la base maltata (pane e miele) a sorreggere l'abbondante luppolatura che prende subito il comando con le sue note resinose e vegetali; è elegante e pulito, intenso senza mai raschiare. Tutto bene, ma la bevuta si esaurisce qui, senza sorprese, tutta giocata sulla resina amara; inutile descrivervi il retrogusto, credo lo abbiate già indovinato. Birra indubbiamente pulita e ben fatta, ma un po' troppo monocorde, almeno per il mio gusto: se invece vi piacciono le spremute di conifera, probabilmente la amerete.
Una specie di IPA "1.0", classica ma forse un po' datata; negli Stati Uniti (soprattutto sulla West Coast) spopolano le IPA succose e fruttate, e la stessa Stone manda in pensione alcune sue birre storiche per sostituirle con una versione "2.0", più attuale, più ruffiana e fruttata, alla moda. Detto questo, il livello di questa Rowing Jack è indubbiamente buono, con un'ottima intensità ed una buona pulizia: non sarà certo originale andare a prelevare in Polonia l'ennesima IPA di cui il mercato è già saturo, ma finché si beve bene una birra che arriva da noi piuttosto fresca e ad un buon rapporto qualità prezzo, perché lamentarsi ?
Formato: 50 cl., alc. 8%, IBU 70, scad. 15/06/2015, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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