giovedì 4 giugno 2015

Menaresta Roots In Wine 2011

L’anno in corso si è aperto con la notizia della fuoriuscita del birraio Marco Valeriani dal Birrificio Menaresta, col quale aveva iniziato a collaborare nel 2009 entrando poi a far parte dello staff in  pianta stabile nel 2012. Nell’attesa di provare le nuove birre di Valeriani presso la sua nuova casa, il birrificio Hammer, ecco un’altra di quelle birre realizzate da Menaresta, la Roots in Wine.
“Radici nel vino” ovvero – utilizzando la descrizione del birrificio stesso -   “una strong ale  invecchiata in botti di Nebbiolo della Valtellina, con aggiunta di ”cioccolato” di carruba. Viene fatta fermentare una prima volta in tino di acciaio e quindi fermentata di nuovo in barrique con aggiunta di polpa di carruba a dare lo zucchero e di malto caramello a dare il corpo, e impiego di lievito da vino bianco; la birra ottenuta è lasciata maturare in legno 6-8 mesi, dove acidifica, e altrettanti in bottiglia”.
Si presenta di un luminoso e limpido color ambrato carico, con riflessi rossastri e ramati; in superficie forma una piccola schiuma a bolle grosse, biancastre, che svanisce quasi immediatamente. L’aroma è interessante e ricco, molto pulito ed intenso, e rappresenta effettivamente una porta d’accesso nel territorio dei vini liquorosi e marsalati, dei passiti: uvetta, frutti di bosco (soprattutto mirtillo e fragola), ciliegia sciroppata, zucchero caramellato. Più in secondo piano si scorgono i sentori del legno, della prugna disidratata, dell’aceto di mela e di pasticceria (immaginate una torta di fragole e ciliegie).
L’inizio è davvero molto convincente, mentre la bevuta mantiene solo parzialmente le aspettative create. Corpo medio, perlage molto, molto fine e delicato, ma una consistenza palatale a mio parere un po’ troppo acquosa; il carattere vinoso domina anche in bocca con uvetta, prugna disidratata, frutti di bosco (more e mirtilli) e caramello. Il gusto è prevalentemente dolce, con le note acetiche relegate in sottofondo, a contrastarlo; la chiusura è tannica, con una buona secchezza ed una punta d’amaro che richiama il lattico ed il torrefatto. E’ assolutamente indispensabile lasciarla scaldare e raggiungere quasi la temperatura ambiente, per far emergere maggiormente la componente etilica che dona maggior struttura ad una birra che altrimenti rischia di risultare un po’ leggerina per la gradazione alcolica dichiarata (9.5%).
E’ una sour ale piuttosto docile, adatta quindi anche a chi non ha abitudine all’acido, che affonda come da nome le proprie radici nel vino: l’impressione che si ha bevendola è che queste siano molto profonde, al punto di aver messo un po’ troppo in disparte la birra. Il livello complessivo è buono, soprattutto se lasciata adeguatamente riscaldare nel bicchiere ma, più che una completa soddisfazione ,lascia piuttosto intravedere un bel potenziale ancora non del tutto espresso.  
Formato: 33 cl., alc. 9.5%, lotto 1/12, scad. 01/2017, pagata 5.35 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birre è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglie, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale dei birrifici.

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