Dolii Raptor, ovvero "il ladro di botti": Riccardo Franzosi, alias Birrificio Montegioco che dal 2005 produce birra in un territorio (i colli Tortonesi) da sempre ricco di vigneti, ma non solo. Pesca di Volpedo, durone di Garbagna sono stati utilizzati da "Riccardino" per produrre birre con uno stretto legame con il territorio circostante: inevitabile che prima o poi anche qualche botte di vino venisse "prelevata" dalle cantine della zona per invecchiare la birra.
L'occasione è una cotta "sfortunata" di Demon Hunter che si prende un'infezione lattica; invece che buttare via tutto (o realizzare una "sour edition" al grido de "la volevo fare così") Franzosi recupera una botte di rovere ex-barbera Bigolla da Walter Massa e ce la mette dentro, applicando il cosiddetto "Metodo Cadrega". Prendi una sedia, aspetta, lascia passare tanto tempo. Il risultato fu estremamente positivo al punto che la birra iniziò ad essere prodotta quasi regolarmente, con un processo controllato. L'infezione accidentale è sostituita da una naturale esposizione a batteri e lieviti selvaggi presenti nell'ambiente e nelle botti; la maturazione "standard" dura dieci mesi, ma sono sempre gli assaggi fatti dal birraio a decidere quando la birra è pronta: la rifermentazione avviene con lieviti da vino bianco e l'imbottigliamento segue i cicli lunari. Di Dolii Raptor ne esiste anche una versione invecchiata in botti ex Calvados, che però è forse più reperibile negli Stati Uniti che in Italia.
Millesimo 2012, poi imbottigliato presumibilmente nel 2014: il suo colore è un bell'ambrato luminoso e quasi limpido con riflessi ramati e rossastri: quella che si forma in superficie non è esattamente una schiuma ma una serie di bolle biancastre. Il Metodo Cadegra con il quale viene prodotta va anche utilizzato in piccole dosi per berla: versata nel bicchiere necessita di diversi minuti d'attesa per far svanire l'eccesso di solvente.
Quando si apre emergono i sentori lattici e di aceto di mela, quelli legnosi e tipici dei lieviti selvaggi come cantina e sudore; il bouquet è completato dall'uva, dalle prugne e da frutti rossi, aspri, acerbi. Lasciatela avvicinare alla temperatura ambiente se volete annusare il profumo del miele e dell'uva passa, con suggestioni di vino liquoroso. In bocca è praticamente piatta, morbida e scorrevole, riproponendo in buona parte gli elementi dell'aroma: evidente il suo carattere vinoso, affiancato dall'acidità lattica e in maniera molto minore da quella acetica, da note legnose e di mela verde; riscaldandosi dispensa ricordi di vino liquoroso, di miele, uvetta e prugna. L'alcool (9.4%) è dispensato con equilibrio, quasi con parsimonia: il suo calore viene subito placato dall'acidità rinfrescante del sorso successivo. Chiude con una punta amara di lattico, evocando anche il nocciolo di pesca o le radici.
Una birra piuttosto complessa ma la cui fruibilità è relativamente facile anche a chi non ha grossa familiarità con le birre acide. Elegante e raffinata, mostra un meticoloso equilibrio e controllo delle sue diverse componenti: difficile credere a Riccardo Franzosi quando dice con modestia che fanno tutto i lieviti e lui non deve far altro che aspettare seduto. Il prezzo non è ovviamente dei più economici, ma è una birra che vale senz'altro la pena di mettere in cantina e aprire di tanto in tanto.
Formato: 33 cl., alc. 9.4%, lotto 26/14, scad. 31/03/2019, pagata 8.40 Euro (beershop, Italia).
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