Ritorna sul blog Hornbeer, birrificio sito a Kirke Hyllinge, nella penisola dello Hornsherred dal quale prende il nome, venti chilometri ad ovest di Roskilde ed a cinquanta da Copenhagen. Lo aprono a maggio del 2008 il birraio Jørgen Fogh Rasmussen e sua moglie Gundhild, punto d’arrivo (o di partenza) della passione per l’homebrewing iniziato negli anni ‘70.
Pochi mesi dopo l'inaugurazione, in agosto, i locali vennero devastati da un incendio e la produzione sino all'autunno del 2009 dovette appoggiarsi ad altri birrifici. Ma una volta ripristinato il piccolo impianto da cento litri, per Jørgen e la moglie Gundhild, illustratrice e pittrice, i cui quadri diventano poi le etichette delle bottiglie, arrivano finalmente le prime soddisfazioni. Nell'anno del debutto, il 2008, la Danske Ølentusiaster (associazione di appassionati birrofili danesi) aveva proclamato la neonata Caribbean Rumstout come la migliore birra danese dell'anno. Si potrà obiettare che la scena brassicola danese non è particolarmente affollata e/o competitiva, con attualmente circa 150 microbirrifici molti dei quali hanno però una distribuzione molto limitata. Nel 2009 Hornbeer condivide a pari merito con Mikkeller il premio di birrificio (Mikkeller?) danese dell'anno, per poi vincerlo in solitudine nel 2010, 2011 e 2013.
Metti una calda serata di (quasi) estate con la temperatura oltre i 30 gradi. Metti che trovi in frigorifero una bottiglia da mezzo litro che si definisce “nata per celebrare l’arrivo della primavera; dorata, molto carbonata, per la quale abbiamo utilizzato un sacco di luppoli, dandole il perfetto livello di amaro e un piacevole gusto fruttato”. Pregusti già mezzo litro di refrigerio e ti affretti a versare in tutta fretta l’American Pale Ale di Hornbeer chiamata “Vårøl” (Vår indica proprio la primavera, in danese).
Ti accorgi però subito che c’è qualcosa che non va: il colore dorato annunciato dall'etichetta nel bicchiere è in verità piuttosto ambrato, con sfumature arancio. L'aroma offre piuttosto un surrogato della frutta, nella forma della marmellata (agrumi); il vento di primavera porta poi profumi poco intensi e piuttosto dolci, con caramello e melassa. Man mano che la temperatura si alza, si avverte anche l'alcool. Le premesse che si tratti di una birra non esattamente "solare" ci sono tutte, ed il gusto lo conferma: molta frutta matura (tropicale, frutti di bosco), marmellata, biscotto e caramello, con un accumolo di dolce poco rinfrescante ma che è il supporto necessario alla generosa luppolatura resinosa e leggermente terrosa. Al di là della sua palese incongruenza con quanto dichiarato in etichetta, in questa bottiglia c'è un (American) Amber Ale piuttosto stanca e poco fragrante, con i luppoli che non brillano di fresco e con l'alcool fin troppo percepibile per la gradazione alcolica (6.4%). Capisco che la primavera danese non sia uguale a quella italiana e che là in quel periodo c'è ancora bisogno di riscaldarsi piuttosto che rinfrescarsi, ma se proprio la devo collocare in una stagione io dico autunno.
Formato: 50 cl., alc. 6.4%, IBU 53,56, scad. 30/03/2017.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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