Nove volte su dieci quando parli di una beerfirm devi citare un progetto che "prevede la messa in funzione di impianti propri", più o meno a breve termine. Ma quante volte poi questo accade veramente? Poche.
Il debutto sul blog del birrificio The Wall è invece un esempio in positivo: partito a novembre 2013 come beerfirm che si appoggiava agli impianti di BrewFist, a luglio 2014 è riuscito ad inaugurare il proprio impianto in quel di Vengono Inferiore, Varese. La zona è ad alta densità birraria: a pochi chilometri c'è Birrificio Settimo e, un po' più a sud, Extraomnes, solo per citare i primi due che mi vengono in mente.
L'idea imprenditoriale dietro a The Wall è di Stefano Barone, come sottolinea il blog Malto Gradimento, proveniente dal mondo della carta stampata ed interessato a diversificare le attività imprenditoriali di famiglia. Complice la visione del documentario "Il boss della birra" con Sam Calagione, Stefano ha iniziato ad interessarsi alla cosiddetta "birra artigianale"; per la produzione, vista la sua mancanza di esperienza, si fa affiancare da Andrea Rogora, una decina d'anni o quasi di homebrewing alle spalle. I due entrano in contatto tramite il forum AreaBirra, del quale Andrea è moderatore.
Golden Ale, IPA, White IPA e Black IPA sono le prime birre che vengono prodotte e che rispecchiano il gusto del birraio: tradizione anglosassone e luppoli soprattutto americani. Si sono poi aggiunte una Helles, un Barley Wine ed una Amber Ale prodotta con aggiunta di sale alla liquirizia islandese. Più o meno un anno fa è stato, come detto, inaugurato l'impianto proprio: 20 hl di Impiantinox, dimensioni che consentono quindi di produrre volumi importanti e anche di operare come controterzisti. Prima di passare all'assaggio, non mi resta che citare il nome di Max Gatto, writer, illustratore, fumettista ed autore di tutte le etichette, che indubbiamente si fanno notare sugli scaffali dei beershop.
Nel bicchiere ecco la Fire Witch IPA, 70 IBU dichiarati ed una generosa luppolatura che, se non erro, dovrebbe comprendere Centennial, Mosaic, Chinook e Simcoe. Il colore è ambrato con riflessi arancio, velato, sul quale si forma una compatta e cremosa testa di schiuma avorio, dall'ottima persistenza. Al naso ci sono soprattutto frutti tropicali (mango, ananas, passion fruit), con il pompelmo e gli aghi di pino in secondo piano; c'è abbastanza freschezza ed una buona pulizia, mentre sull'eleganza del bouquet di frutta, tendente al dolce, si può ancora migliorare. Il colore nel bicchiere anticipa quanto poi viene proposto al palato: la base maltata è di caramello e biscotto, seguito dal dolce della frutta tropicale che ripropone in parte l'aroma: l'amaro accompagna la bevuta fin da subito, diventandone il protagonista, prima nel pompelmo e poi nelle note resinose, vegetali, con qualche lieve accenno di terroso/tostato. La direzione scelta per questa IPA, lo dichiaro da subito, non è quella che personalmente preferisco: l'ambrato piuttosto che il dorato, il caramello piuttosto che il miele a bilanciare la luppolatura. Ma al di là del mio gusto, la cui importanza è alquanto relativa, ho trovato oggettivamente questa Fire Witch un po' troppo pesante in bocca, a livello tattile: c'è una buona pulizia, una sensazione morbida al palato ed un buon livello di secchezza, ma la scorrevolezza è inferiore a quella attesa.
Detto questo, il livello è sicuramente buono e l'età anagrafica del birrificio ancora piuttosto giovane: l'intensità c'è, ora forse bisogna raffinare i dettagli e snellire/alleggerire un po' la birra, per favorirne ancora di più la bevibilità. E - ci scherzo un po' sopra - magari schiarire anche un po' il colore.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, IBU 70, lotto 1215, scad. 31/12/2015, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia).
Nel bicchiere ecco la Fire Witch IPA, 70 IBU dichiarati ed una generosa luppolatura che, se non erro, dovrebbe comprendere Centennial, Mosaic, Chinook e Simcoe. Il colore è ambrato con riflessi arancio, velato, sul quale si forma una compatta e cremosa testa di schiuma avorio, dall'ottima persistenza. Al naso ci sono soprattutto frutti tropicali (mango, ananas, passion fruit), con il pompelmo e gli aghi di pino in secondo piano; c'è abbastanza freschezza ed una buona pulizia, mentre sull'eleganza del bouquet di frutta, tendente al dolce, si può ancora migliorare. Il colore nel bicchiere anticipa quanto poi viene proposto al palato: la base maltata è di caramello e biscotto, seguito dal dolce della frutta tropicale che ripropone in parte l'aroma: l'amaro accompagna la bevuta fin da subito, diventandone il protagonista, prima nel pompelmo e poi nelle note resinose, vegetali, con qualche lieve accenno di terroso/tostato. La direzione scelta per questa IPA, lo dichiaro da subito, non è quella che personalmente preferisco: l'ambrato piuttosto che il dorato, il caramello piuttosto che il miele a bilanciare la luppolatura. Ma al di là del mio gusto, la cui importanza è alquanto relativa, ho trovato oggettivamente questa Fire Witch un po' troppo pesante in bocca, a livello tattile: c'è una buona pulizia, una sensazione morbida al palato ed un buon livello di secchezza, ma la scorrevolezza è inferiore a quella attesa.
Detto questo, il livello è sicuramente buono e l'età anagrafica del birrificio ancora piuttosto giovane: l'intensità c'è, ora forse bisogna raffinare i dettagli e snellire/alleggerire un po' la birra, per favorirne ancora di più la bevibilità. E - ci scherzo un po' sopra - magari schiarire anche un po' il colore.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, IBU 70, lotto 1215, scad. 31/12/2015, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia).
NOTA: la descrizione della birre è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglie, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale dei birrifici.
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