La St. Peter's Brewery viene fondata nel 1996 da John Murphy a Bungay, Suffolk, in alcuni edifici adicenti al municipio cittadino che risalgono al tredicesimo secolo. John Murphy, classe 1946, ha avuto un lungo passato professionale con la società Interbrand, da lui fondata nel 1974 e poi ceduta nel 1995: si tratta di un’importantissima società di consulenza marchi (brand strategy, brand analytics, brand valuation, corporate design, digital brand management, packaging design) ora parte dell'Omnicom Group e presente in 27 paesi nel mondo. Tra i numerosi nomi di prodotti creati dalla Interbrand, ci sono ad esempio “Prozac” e “Land Rover”.
Dal 2013 Murphy sta anche cercando di vendere la St. Peter's Brewery, valore stimato tra i 12 ed i 15 milioni di sterline: in un periodo in cui piccoli birrifici sono sempre più oggetto d’interesse delle multinazionali, chissà che l’affare non possa andare in porto. L’80% della produzione St. Peters viene imbottigliata, con l’esportazione che occupa all’incirca la metà del fatturato. Le birre sono vendute nella caratteristica bottiglia usata dalla forma ovalizzata ed ispirata a quella che nel diciottesimo secolo veniva utilizzata da una distilleria di gin a Gibbstown (New Jersey, USA).
La gamma St. Peter’s comprende una dozzina di birre prodotte tutto l'anno e diverse produzioni stagionali, senza fare correre dietro alle mode e senza fare grosse concessioni alla modernità, eccezion fatta per qualche luppolo extra-europeo.
La Cream Stout è una ricetta formulata dall'head breve Mark Slater che prevede l'utilizzo di luppoli Fuggle e Challenger raccolti nel Kent inglese ed un mix di cinque diversi tipi di malto di provenienza locale.
Si presenta nel bicchiere di color ebano, generando appena un dito di schiuma beige, fine e cremosa ma molto poco persistente. Al naso spiccano i profumi del caffè (sia in chicchi che liquido) con in secondo piano caramello bruciato, orzo tostato ed una lieve presenza di cenere e di mirtillo; bene la finezza e la pulizia, solo modesta l'intensità. I primi sorsi deludono un po' le aspettative, più che altro perché si chiama "Cream Stout": non credevo certo di trovarmi una birra oleosa e quasi masticabile, ma perlomeno una benché minima cremosità, a simulare l'effetto "carboazoto. Qui la consistenza è invece piuttosto watery, privilegiando (forse anche troppo) la scorrevolezza abbinata ad un corpo medio-leggero e a poche bollicine. Il gusto ripropone la stessa semplicità dell'aroma, con molto caffè e tostature, una leva liquirizia, la dolcezza in sottofondo del caramello e acidità dei malti scuri: l'eleganza e la pulizia non sono tuttavia sullo stesso livello. L'intensità è tutto sommato buona, mentre la chiusura pecca un po' di finezza nel suo amaro tostato e leggermente terroso: complessivamente è una bevuta più che discreta, un po' avara di emozioni e con una marcata delusione per la mancanza di quella cremosità annunciata in etichetta.
Formato: 50 cl., alc. 6.5%, scad. 08/03/2017, 3.90 Euro (drink store, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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