Crooked Stave, il birrificio della "doga piegata" coincide con il nome di Chad Yakobson: un nome scelto principalmente perché mettere la birra dentro le botti è quello che a Chad piace fare. La sua altra passione sono i brettanomiceti, al punto d'aver dedicato a questi lieviti selvaggi la sua tesi di laurea all'International Centre for Brewing and Distilling dell'Università di Edimburgo, in Scozia: Chad ha pubblicato il suo lavoro on-line per condividere le sue esperienze con altri appassionati, anche se ha dovuto poi abbandonare le discussioni per concentrarsi sul suo progetto Crooked Stave Artisan Beer. Gli scritti di Chad ottennero subito l'attenzione e i premi della American Homebrewers Association, diventando una fonte d'informazione molto utile e molto popolare tra homebrewers e beergeeks.
E dire che Yakobson ai tempi del college si era interessato alla vite e al mondo del vino, soprattutto alle maturazioni in legno: fu l'assaggio di un bicchiere di La Folie, la sour brown ale prodotta dalla New Belgium a fargli capire che anche la birra poteva diventare oggetto dei suoi appassionati studi.
Il debutto di Crooked Stave avviene come beerfirm a cavallo tra il 2010 ed il 2011; in attesa di riuscire a reperire i fondi necessari per installare i propri impianti, Yakobson si appoggia prima alla Funkwerks Brewery di Fort Collins e poi alla Prost di Denver; dal 2013 le birre vengono invece prodotte alla Epic Brewing, birrificio di Salt Lake City (Utah) che ha un sito produttivo anche a Denver, Colorado. Nella stessa città Crooked Stave porta la birra a maturare in botti e foeders situati in un magazzino nel quartiere industriale di Sunnyside, inaugurato a settembre 2012. L’anno successivo viene aperto il locale The Source, ovvero la “taproom ufficiale”, all’interno di una ex fabbrica di mattoni del 1880: l’idea di Yakobson era di riuscire a installare il proprio impianto all’interno di questo complesso già entro la fine del 2013 ma qualcosa è andato storto e i suoi piani per passare da beerfirm a produttore hanno subito un forte rallentamento.
E’ solo lo scorso gennaio 2016 che Crooked Stave ha potuto tagliare il nastro del proprio impianto da 25 ettolitri; Yakobson ha acquistato altri tre magazzini adiacenti al suo nel quartiere industriale di Sunnyside, riuscendo a disporre di circa 1200 metri quadrati nel quale ha piazzato 17 foeders, 283 botti e una coolship (vasca di raffreddamento aperta) che verrà utilizzata per le fermentazioni spontanee con lieviti e batteri naturalmente presenti nell’aria. Ad aiutare Chad ci sono il birraio Danny Oberle, suo compagno d’infanzia, il grafico Travis Olsen e il birraio Brian Grace, proveniente da un’interessante esperienza presso Jolly Pumpkin. Sono circa 3500 gli ettolitri prodotti ogni anno da Crooked Stave, la metà dei quali destinati al mercato del Colorado; in parallelo opera anche la Crooked Stave Artisans Beer Distributing, un’attività che si occupa di distribuire birra, cidri, vini ed alcolici in diversi stati americani.
La birra.
Hop Savant è l'interpretazione del tutto personale che Chad Yakobson fa di una India Pale Ale: la fermentazione è affidata (100%) a brettanomiceti mentre il luppolo, da quanto mi sembra di aver capito, viene utilizzato solamente negli ultimissimi minuti della bollitura. Hop Savant debutta nel 2013 con un mix che include Mosaic, Citra e Simcoe; dopo un paio d'anni d'assenza, ritorna a maggio 2015 come una produzione regolare che ad ogni lotto utilizza una diversa varietà di luppolo in dry-hopping; si parte con l'Amarillo seguito dal Citra; ed è proprio questa versione, commercializzata il 27 maggio 2015, che andiamo a stappare.
Nel bicchiere si presenta di un pallido colore che oscilla tra l'arancio ed il dorato: la schiuma è ovviamente piuttosto generosa, bianchissima e pannosa, con un'ottima persistenza. Il naso è complesso ma la sua maniacale pulizia ne consente una facile lettura: vi convivono due anime, una meno convenzionale o "funky" che dir si voglia, composta da note lattiche, di formaggio e di sudore ed una predominante che regala rassicuranti profumi floreali, di agrumi (mandarino, lime) e di frutta tropicale, soprattutto ananas. La sensazione palatale è pressoché perfetta, con un corpo medio-leggero (nonostante il contento alcolico dichiarato del 7%) ed una vivace carbonazione a renderla vivace e pungente: un tocco di crackers e poi la bevuta, secchissima, vira subito nel territorio zesty della scorza di mandarino, lime, limone e probabilmente quasi qualsiasi altro agrume che vi possa venire in mente. Un velo dolce (ananas, polpa di mandarino) accompagna in sottofondo verso il finale amaro nel quale convivono note lattiche, erbacee, terrose e di scorza d'agrumi; è qui forse l'unico momento in cui la bevuta va un po' fuori controllo con un'intensità d'amaro eccessiva che perdura a lungo nel retrogusto vanificando un po' quell'effetto rinfrescante e dissetante che l'acidità e la secchezza avevano invece promosso.
La pulizia è a livelli davvero elevatissimi, andando a braccetto con un eleganza che non cancella del tutto una leggera componente rustica; ottima birra che convince più al naso che in bocca ma il livello è piuttosto elevato e sicuramente migliore di tutte quelle "Brett IPA" che mi è capitato di provare. Lo "stile" che prevede il connubio acido-luppolatura spinta continua a non convincermi ma, nel caso di birre come questa (fermentata esclusivamente con brettanomiceti, ricordo), assume un senso più compiuto. Il prezzo è in fascia alta anche nella terra d'origine, ma sono sacrifici che una volta ogni tanto si fanno senza troppi rimpianti.
Formato: 37.5 cl., alc. 7%, imbott. 05/2015, scad. non riportata, prezzo indicativo in Europa 9.50/12.00 Euro.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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