mercoledì 27 dicembre 2017

Birrificio del Vulture West Cost

Sono circa una dozzina, tra birrifici e beerfirm, i protagonisti della scena brassicola lucana, una delle più piccole e giovani della nostra penisola. Tra queste vi è il Birrificio del Vulture, operativo dal 2015 a  Rionero in Vulture (Potenza). Alla guida Ersilia D'Amico e Donatello Pietragalla, homebrewers che dal 2009 hanno affrontato tutte le tappe (birra da kit, all grain, corsi e periodi di pratica presso altri birrifici) prima di entrare nel mondo dei professionisti. 
In una terra - come molte altre regioni italiane - a vocazioni vinicole, madre dell'Aglianico, è stato posizionato un impianto da 2,5 ettolitri che grazie a numerosi fermentatori produce all'incirca 150 ettolitri l'anno. Il birrificio dispone anche di una piccola taproom con tre spine e un punto vendita per l'asporto.  
Cinque sono le birre prodotte regolarmente tutto l'anno (la golden ale Rocco 'n' Rool, la weizen Bramea, la IPA West Cost, la blanche Bianchina e la stout Gnostr) affiancate da alcune produzioni stagionali come ad esempio la harvest IPA Gaddina Young, l'imperial stout So' biologa, la birra alle castagne Druda. 

La birra. 
Nasce a novembre 2015 la prima IPA del birrificio Del Vulture che rappresenta anche il debutto del formato 33 centilitri. L'etichetta, realizzata da Francesco Moretti della Basthard Design, raffigura l'orologio della Orologio della Costa di Rionero in Vulture; ma la West Co(a)st, ovvero l'Oregon, è anche la regione di provenienza del luppolo utilizzato per produrla, in questo caso il Cascade. 
Niente da dire sul gioco di parole, ma per qualsiasi appassionato di birra leggere sull'etichetta di una American Ipa la frase "West Cost" genera delle aspettative che dovrebbero secondo me essere  poi mantenute. L'Oregon è indubbiamente sulla West Coast, ma la patria d'origine delle West Coast IPA è la California: Russian River, Pizza Port, Ballast Point, AleSmith, Green Flash, Alpine. 
E di West Coast, quella vera, in questa bottiglia non ce n'è proprio traccia. A partire dal colore, un ambrato che si discosta nettamente da quel dorato-arancio che anima tutte le IPA dei birrifici sopracitati. Al naso la presenza di luppoli è davvero scarna: l'aroma è dolce, zuccherino, emergono i malti (biscotto e caramello) in modo non particolarmente fragrante  e accompagnati  da una nota etilica. In sottofondo c'è un po' di marmellata d'arancia, ma l'intensità è davvero bassa. Il gusto purtroppo prosegue nella stessa direzione con un ingresso troppo acquoso nel quale cercano di farsi notare caramello e biscotto, incalliti da un amaro resinoso di discreta intensità. Non ci sono off-flavors, ma una IPA da 7.2% dovrebbe avere ben altra intensità; la data di scadenza (ottobre 2018) mi fa pensare ad una produzione piuttosto recente. 
Più che la West Coast (tropicale e pompelmo  -quest'ultimo caratteristica tipica proprio del Cascade - assolutamente non pervenuti) il risultato ricorda alla lontana le IPA della costa ad Est, quella "vecchia" scuola che giocava la sua partita sulla contrapposizione caramello-resina. Ma anche spostandoci geograficamente, quello che c'è in questa bottiglia (sfortunata?) è davvero troppo timido e modesto per risultare accettabile, benché sia bevibile. Spiace sempre parlare "male" di una birra ma in questo caso la strada da fare, sia che si voglia andare a ovest o ad est, sia che si voglia  fare una IPA bilanciata o estrema, è davvero tanta. 
Formato 33 cl., alc. 7.2%, IBU 57, lotto 29/2017, scad. 10/2018, prezzo indicativo 4.00-4.50 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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