In ambito musicale con mashup s’intende la composizione di un brano utilizzando due o più spezzoni di altre canzoni, sovrapponendoli. Per quel che riguarda la birra, la parola MashUp ci porta invece a Roma dove da luglio 2015 è attiva l’omonima beerfirm fondata da Andrea Romani ed Emanuele Loffa, appassionati birrofili i cui nomi saranno probabilmente già noti a chi condivide la loro stessa passione.
Mi riferisco soprattutto ad Andrea Romani, alias “Barone Birra”, homebrewer dal 2011 e fondatore del concorso Brassare Romano che dal 2012 si svolge in alcuni locali romani in quattro tappe ciascuna delle quali dedicata ad uno specifico stile di birra. Dopo l’esperienza come responsabile commerciale per il birrificio Free Lions, oggi Andrea utilizza il suo impianto casalingo da 50 litri per elaborare le ricette che realizza poi in grande scala su impianti altrui con il nome MashUp Brewing.
Molto azzeccato il merchandising che accompagna le birre: sottobicchieri a forma di vinile, etichette e maniglie per le spine a forma di audiocassette: nostalgia e gioia per chi ascoltava musica prima che inventassero i cd e gli mp3. Per quel che riguarda la sostanza, MashUp debutta a luglio 2015 con la American IPA Indie Pop seguita a breve distanza dalla West Coast (Double) IPA Hip Hop (8.5%): per la produzione si appoggiano agli impianti di due birrifici vicini e amici: Hilltop di Bassano Romano (Viterbo) e EastSide di Latina. La gamma è stata poi ampliata con una saison e una Italian Grape Ale, entrambe prodotte in Lombardia sugli impianti del Carrobiolo: l’ultima arrivata, lo scorso luglio, è l’American Pale Ale chiamata Loop. La beerfirm è spesso in giro per l’Italia a promuovere le proprie birre, proprio come se si trattasse di serate musicali, per continuare i parallelismi: è attualmente in corso il “Tour of the Hops” che coinvolge undici locali dislocati tra Lazio, Umbria, Campania, Lombardia e Sicilia.
La birre.
Devo innanzitutto ringraziare MashUp per avermi inviato tre birre da assaggiare. Partiamo dalla Indie Pop, una American IPA (5.5%) prodotta sugli impianti di Hilltop che utilizza luppoli Summit, Centennial, Cascade e Citra in aroma; il suo colore è un dorato carico, leggermente velato e sormontato da una testa di schiuma cremosa ma poco generosa. L’aroma è fresco a abbastanza pulito: mango, papaia e melone, passion fruit, pompelmo e arancia, con qualche nota che vira più sul vegetale che sul resinoso. Al palato è morbida e scorre bene, ma il gusto è meno convincente e soprattutto meno pulito. Su una delicata base maltata (pane, accenni biscottati) c’è un non ben definito frutto tropicale e un finale amaro che indugia sul binomio zesty-terroso, anziché puntare dritto al classico resinoso americano. Annoto anche una lieve astringenza ed un ritorno di cereale nel retrogusto che – a mio parere – poteva essere evitato. Nel complesso è una IPA gradevole ma che necessita ancora di aggiustamenti se la si vuol far emergere in quel contesto molto competitivo che è la scena romana.
Dall’ispirazione statunitense passiamo a quella belga, ovvero la saison chiamata French Suite: a guidare le danze è ovviamente il lievito (French Saison) con una generosa luppolatura di Hallertau Blanc; malto d’orzo, fiocchi di avena e di frumento completano il grist.
Nel bicchiere è molto chiara, tra il paglierino e l’arancio pallido: la schiuma è impeccabilmente cremosa e compatta. Al naso c’è un buon equilibrio che permette sia al lievito che ai luppoli di esprimersi: una delicata speziatura (coriandolo, pepe, chiodo di garofano) accompagna banana e agrumi, c’è qualche lievissima nota fenolica che richiama a tratti la plastica e la necessaria componente rustica che fa pensare al fieno, alla paglia. Le generose bollicine rendono la bevuta molto vivace: pane e crackers, frutta a pasta gialla, banana e una delicata speziatura compongono un gusto che è inferiore all’aroma come intensità ma ne ripropone la buona pulizia. E’ una saison abbastanza secca e attraversata da una delicata acidità che ne garantisce l’effetto dissetante e rinfrescante: la chiusura è ruspante e moderatamente amara, con note terrose, erbacee e di scorza d’agrumi. E’ una saison di buon livello, facilissima da bere, alla quale manca forse ancora un po' di carattere ed di cuore; la strada da percorrere mi sembra tuttavia in discesa.
Chiudiamo con la Italian Grape Ale chiamata Fusion: ad una base saison viene aggiunto il mosto (20%) di Moscato Filari Corti dell'Azienda Agricola Carussin di San Marzano Oliveto.
Di colore dorato, forma un generoso cappello di schiuma che è però molto rapido a dissolversi. Nell’aroma convivono arancia e scorza di limone, spezie, frutta candita, richiami alla pasticceria e soprattutto un’evidente nota vinosa. Il mouthfeel è leggero e vivace come quello della French Suite, mentre la bevuta ripropone abbastanza fedelmente quanto annunciato al naso: la componente vinosa è però molto evidente e i due mondi (birra e vino) cercano di far funzionare un matrimonio che in alcuni passaggi è piuttosto litigioso. La pulizia è davvero notevole, ma per il mio gusto è una birra troppo sbilanciata verso il vino e non una birra arricchita dall’utilizzo del mosto d’uva. La chiusura è secca, con un amaro di discreta intensità che chiama in causa note terrose, zesty e di mandorla: paradossalmente mi sembra la birra tecnicamente meglio riuscita di MashUp ma è quella che trovo più contraddittoria da bere. Evolverà probabilmente bene nel tempo, raggiungendo forse un maggior equilibrio tra le due componenti.
Nel complesso un debutto sul blog in positivo per MashUp: bene Saison e IGA (anche se sub judice), un po' deludente la IPA che mi sembra ancora in cerca di un'identità precisa.
Nel dettaglio:
Indie Pop, formato 33 cl., alc. 5.5%, IBU 45, lotto 17041, imbott. 09/2017, scad. 01/08/2018.
French Suite, formato 33 cl., alc. 5%, IBU 20, lotto 1766, scad. 31/08/2018
Fusion, format 33 cl., alc. 7%, IBU 30, lotto 7616, scad. 31/08/2018
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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