Dopo aver studiato Fermentation Science alla Oregon State University, Sam Richardson ha iniziato la sua carriera professionale lavorando come birraio prima al brewpub The Rake di Seattle e poi al birrificio Pyramid di Portland. Mentre si trovava sulla costa ad est a far visita ai genitori della moglie, Richardson risponde ad un annuncio del birrificio Greenpoint Beer Works di Brooklyn che cercava un birraio, ed ottiene il posto trasferendosi con tutta la famiglia. Alla Greenpoint incontra Matt Monahan, un ex-cuoco stanco degli orari imposti dal mondo della ristorazione: era diventato padre e pensava che lavorando come birraio avrebbe potuto conciliare meglio lavoro e famiglia. I due diventano amici e utilizzano gli impianti della Greenpoint – birrificio che opera soprattutto per conto terzi -
per produrre quattro birre destinate alle spine di un ristorante pop-up di Andrew Burman, un vecchio conoscente di Monahan. Le birre ottengono grande successo, la voce si sparge, Richardson e Monahan ricevono richieste da altri operatori di settore che vogliono delle birre per i loro locali.
I due amici capiscono che ci sono delle opportunità e vorrebbero mettersi in proprio, ma il problema principale sono i costi della Grande Mela: ci mettono quasi due anni per trovare una location dal prezzo accettabile nel quartiere di Carroll Gardens, a Brooklyn, sotto ai piloni della Gowanus Expressway, grazie ad un annuncio su Craigslist: “siamo stati fortunati – ricorda Monahan – questo spazio era completamente vuoto ed aveva quindi un costo accessibile. Abbiamo installato l’impianto, costruito una cella frigo e ricavato una piccola taproom dove c’era un piccolo ufficio”.
Nel gennaio del 2014 Richardson, Monahan e Burman lasciano Greenpoint e lanciano il birrificio Other Half: “l’altra metà”, quella artigianale, dell’industria. L’idea è di concentrarsi su IPA e birre luppolate, puntando tutto sulla loro freschezza: “abbiamo centinaia di clienti, bar e ristoranti che sono nel raggio di dieci chilometri a cui possiamo consegnare la birra in un’ora. Alla sera i pub possono attaccare il fusto di una birra che alla mattina era ancora nei nostri fermentatori”. Le birre di Richardson sono buone e la loro freschezza le valorizza al massimo: il debutto avviene con la Doug Cascadian Dark Ale (un omaggio al suo nord-ovest) , la Other Half IPA e una Imperial Stout. Ricorda Richardson: “sono cresciuto sulla costa ad ovest e volevo quindi fare una West Coast IPA; quando iniziammo a New York c’erano molte IPA ma erano tutte abbastanza anonime e blande”. Ma il 2014 è anche l’anno in cui il New England spinge la California giù dal trono della Craft Beer: The Alchemist, Trillium e Tree House spodestano i grandi birrifici di San Diego e dintorni in cima alla lista dei desideri dei beergeeks.
Richardson è attento ed è bravo ad intercettare quella fetta di mercato realizzando All Green Everything, probabilmente la prima New England IPA prodotta a New York: “mi accorsi che la gente era interessata a quello stile e le nostre IPA un po’ già ci assomigliavano. Non ho mai detto di averle inventate io, ma siamo stati tra i primi a farle e siamo divenuti famosi per quelle”.
Ma c’è un altro fattore determinante: alla fine del 2014 viene approvato il Craft New York Act, una legge che consente ai birrifici di vendere direttamente al pubblico lattine e bottiglie senza essere obbligati a passare tramite un distributore. Per Other Half è una grande opportunità di incrementare i propri margini, e per i beergeeks newyorkesi di fare quello che i loro amici fanno in molti stati americani: gli appostamenti fuori dal birrificio nel giorno della messa in vendita delle birre. Con pochissimo budget per marketing e pubblicità, Other Half si affida ai social media ed al passaparola tra gli appassionati; dopo due anni, all’inizio del 2017, il New York Times regala ad Other Half quella pubblicità che qualsiasi birrificio vorrebbe: un articolo che descrive la pazzia di centinaia di beergeeks disposti a sfidare il freddo e restare in fila undici ore per riuscire ad accaparrarsi qualche four pack di Green Diamonds o All Green Everything. Nello stesso anno Other Half amplia la propria taproom per meglio accogliere le migliaia di persone (appassionati e curiosi) che nel weekend affollano Carroll Gardens; il magazzino viene spostato in un altro edificio dello stesso isolato.
Nell’agosto del 2018 Richardson e soci annunciano di avere acquistato per 660.000 dollari gli edifici abbandonati del birrificio Nedloh a East Bloomfield, nei dintorni di Rochester, non lontano dalle rive del Lago Ontario. Oltre ad aumentare la produzione portandola da 11.000 a 16.00 ettolitri, il nuovo birrificio doveva anche dare il via alla produzione di birre acide: per l’occasione viene reclutato Eric Salazar, birraio con esperienza ventennale alla New Belgium, Colorado, in cerca d’occupazione in quella zona. Ma dopo nove mesi Salazar è ancora con le mani in mano in quanto barili e foeders in legno non sono mai arrivati; i tre Other Half stanno infatti progettando l’apertura di altre succursali a Brooklyn e Washington e hanno deciso di posticipare la produzione di sour e wild ales. Salazar se ne va mentre Monahan presenta la seconda location a Domino Park, Brooklyn, sotto al Ponte di Williamsburg; l’emergenza Covid-19 ne ha fatto slittare l’inaugurazione che dovrebbe avvenire proprio in queste settimane (ottobre 2020).
Stesse tempistiche anche per Other Half Washington, D.C.: gli impianti del nuovo birrificio nella città natale di Burman e Monahan (2000 metri quadri) sono già operativi mentre la taproom con 900 posti a sedere e beer garden da 800 metri quadri potrebbe essere riaperta in questi giorni. “Siamo entusiasti di poter aumentare la produzione delle nostre IPA – ha detto Monahan – ma con questo impianto potremo anche produrre imperial stout e barley wine molto più potenti e anche molte basse fermentazioni”.Le birre.
Buone notizie per gli appassionati europei: in ottobre una selezione di lattine è arrivata anche nel nostro continente, dopo poco più di un mese di viaggio. L’aumentata capacità produttiva di Other Half e, immagino, un calo della domanda domestica dovuta al Covid lo hanno reso possibile. Vediamole rapidamente in ordine di ABV decrescente cercando di rispondere alla solita domanda: “is the hype real?”. Le birre sono state tutte prodotte sull’impianto di Brooklyn e non su quello di Rochester: per i beergeeks anche questo è un dettaglio importante.
Partiamo dalla Double NEIPA Triple Cream (10%) il cui nome fa riferimento alla cremosità donatole dall’avena e al triplo dry-hopping. Citra, Eukanot, Khatu, Wai-Iti sono i luppoli utilizzati, mentre per l’ultimo dry-hopping sono stati usati Galaxy e Citra Lupulin in polvere. Visivamente simile ad un torbido succo di frutta all’albicocca, ha una bella schiuma cremosa e compatta. Mango, albicocca, pesca percoca e papaia formano una macedonia di frutta molto matura nella quale ci finisce anche qualche frammento di pompelmo. Il gusto è coerente, dolce ma non troppo, merito di una chiusura sorprendente secca che fa il miracolo in assenza pressochè totale di amaro. S’avverte giusto uno zic resinoso. Il corpo è quasi pieno, è una birra masticabile ma non particolarmente cremosa. L’alcool si sente solamente a fine corsa ma il suo maggior pregio è la completa mancanza di quegli spigoli e di quelle incrinature (hop burn) che spesso affliggono il mondo delle NEIPA. Impalcatura ineccepibile, birra molto buona e pulita: nonostante questo le Double NEIPA raramente riescono ad emozionarmi e questa non fa eccezione. Colpa mia.
Passiamo alla DDH Citra + Galaxy, altra Imperial IPA (8.5%) dove imperversano Citra, Galaxy e luppolina di Citra. Visivamente identica alla sorella maggiore, ha un profilo aromatico abbastanza simile nel quale emergono pesca, albicocca, papaia e mango. Definizione e precisione potrebbero però essere migliori. Al palato si ha la sensazione di sorseggiare un succo di frutta tropicaleggiante, le bollicine sono un po’ più presenti del dovuto e quindi il mouthfeel NEIPA ne risulta un po’ penalizzato all’inizio. L’alcool è ben gestito ma è maggiormente in evidenza rispetto alla Triple Cream, soprattutto nel finale: chiude con un amaro resinoso/vegetale piuttosto educato, che non lascia nessun grattino. Double NEIPA ben fatta, di nuovo avara di emozioni e non impeccabile per quel che riguarda definizione e pulizia.Continuiamo a percorre la scala ABV scendendo a 6.5% con la IPA Small Citra Everything; questa single-hop è di color arancio, torbido ma luminoso: anche in questo caso la schiuma è cremosa, compatta e molto persistente, cosa che non accade sempre nelle NEIPA. E Citra sia: arancia, mandarino, pompelmo dominano un aroma nel quale avverto anche qualche nota di ananas. In questo caso la pulizia è maggiore dell’intensità e i profumi non sono esplosivi. Non si tratta tuttavia di un succo di frutta sfacciato: si riesce ancora a percepire l’elemento birra (pane, crackers) prima di un finale zesty, a tutta scorza d’agrumi. Sarebbe una birra piuttosto gradevole ma c’è una nota amara vegetale, piuttosto pesante, che non rientra esattamente nella mie corde. Questione di gusti. Non amo le IPA mono-Citra, in particolare per quel che riguarda l’amaro che quel luppolo impartisce: avesse un bel finale resinoso in stile West Coast guadagnerebbe un paio di punti.
Space Dream è invece una IPA (6%) nel quale il Galaxy è affiancato da lattosio ed avena per darle un mouthfeel lussureggiante: operazione riuscita solo in parte, la birra è solida e chewy ma non particolarmente morbida. Pesca, mango, ananas, arancia e pompelmo sono affiancate da qualche suggestione di panna donata dal lattosio. Anche Space Dream mantiene le parvenze di una birra, dietro alla sembianze “Juicy”: non è una NEIPA estrema e sfacciata, peccato che il gusto sia meno definito e preciso rispetto all’aroma. Il testimone passa dalla frutta tropicale agli agrumi in un finale nel quale è protagonista il pompelmo, affiancato da una nota amara resinosa che non gratta e che lascia una scia abbastanza breve. Nessuna Madonna, ma senz’altro una bella bevuta.
Chiudiamo questa breve rassegna con Small Green Everything (4.8%), sorellina della più famosa Double IPA All Green Everything, una delle prime NEIPA prodotte da Other Half e una delle birre che hanno contribuito al suo successo. Il suo colore velato oscilla tra il dorato e l’arancio, mentre al naso c’è un bouquet abbastanza intenso e pulito composto da note dank, arancia, pompelmo e frutta tropicale. Pane e crackers, frutta tropicale dolce, finale amaro che oscilla tra zesty, dank e resinoso: ci sono tutte le caratteristiche per una (Session) IPA moderna e l’esecuzione di Other Half è convincente. Alcool fantasma, grande facilità di bevuta, buona presenza palatale, finale secco, amaro educato ed abbastanza persistente. Potere della semplicità: se siete un po’ fuori moda e amate la birra che sa di birra, questa è senz’altro la Other Half che vi consiglierei di bere tra quelle arrivate in Europa.
Non mi soffermerei troppo sul fattore prezzo. Vale la pena spendere 25 euro al litro per una IPA (4.8%)? Ovviamente no, ma se siete beergeeks incalliti o grandi appassionati è un’occasione ghiotta per provare delle birre che potreste altrimenti bere solo a New York. Il viaggio vi costerebbe di più, e chissà quando potrete farlo. Per chi invece ama soltanto bere una buona NEIPA, ci sono alternative altrettanto valide in Italia e in Europa: non vi bastano i già (tanti) 12-15 euro al litro ?Nel dettaglio
Triple Cream, 47,3 cl., alc. 10%, lotto 03/09/2020, prezzo indicativo 14,00 euro (beershop)
DDH Half Citra + Galaxy, 47,3 cl., alc. 8.5%, lotto 01/09/2020, prezzo indicativo 13,00 euro (beershop)
DDH Small Citra Everything, 47.3 cl., alc. 6.5%, lotto 07/09/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)
DDH Space Dream, 47.3 cl., alc. 6%, lotto 31/08/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)
DDH Small Green Everything, , 47.3 cl., alc. 4.8%, lotto 27/08/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio