Anche il Kentucky, dove si concentra la maggior parte della produzione del bourbon, non è stato immune alla “craft beer revolution” americana. Prendiamo ad esempio il birrificio Against the Grain, fondato a Louisville nell’ottobre 2011; quattro soci, che si sono conosciuti mentre lavoravano alla Bluegrass Brewing.
Iniziamo dai due che sono più coinvolti nella produzione della birra: Sam Cruz e Jerry Gnagy, entrambi homebrewers da quando erano ancora minorenni e interessati, per loro stessa ammissione, più a produrre “qualcosa di alcolico” che di buono. Jerry Gnagy è quello che ha fatto il percorso più lineare: terminato il college in Kansas, entra dapprima come lavafusti e viene poi promosso birraio alla Bluegrass Brewing di Louisville. Un po’ diverso l’approdo in sala cottura di Sam Cruz: dopo gli studi in scienze politiche, inizia a lavorare in una sorta di servizio sociale, affrontando adolescenti con problemi di dipendenza da sostanze illegali; il lavoro non lo soddisfa molto, e nel 2005, ricalca le orme dell’amico Jerry. Assunto come lavafusti, viene promosso dopo diciotto mesi ad assistente birrario di Jerry e, dopo un corso al Siebel Institute di Chicago, a birraio.
I due iniziano però a soffrire la routine di un birrificio che produce le stesse birre 365 giorni all’anno, senza nessuna voglia di sperimentare: un giorno, mentre osservano i magazzinieri movimentare decine di sacchi di malto, maturano quell’ “odio verso i cereali” che diventerà la base di partenza del loro progetto: Against The Grain (“contro i cereali”; curiosamente con lo stesso nome è stata anche chiamata una birra inglese gluten free).
Alla Bluegrass lavoravano anche il loro amico Adam Watson (assistente birraio e prossima alla laurea in legge) e Andrew Ott, impiegato come cameriere nel ristorante; tra una chiacchera e l’altra, i quattro abbozzano il progetto di aprire il proprio brewpub a Louisville, una città che in quel periodo non offriva alternative alla Bluegrass. Nel 2008 si licenziano tutti per lavorare alla costruzione della Against The Grain Brewery and Smokehouse, che viene inaugurata nell’ottobre del 2011 nella suggestiva location all’interno del Slugger Field, uno stadio di Baseball (Minor League): “qui c’è un bel giro di gente e di soldi – ammettono – ma è stato difficile abituarli al gusto della birra “artigianale” e a quelle che noi produciamo”.
In sala cottura ci va quasi esclusivamente a Jerry Gnagy, mentre Sam Cruz si occupa principalmente della gestione del ristorante annesso; Adam Watson segue soprattutto la parte amministrativa e finanziaria mentre Andrew Ott opera come general manager, coordinando le diverse funzione ed occupandosi delle risorse umane.
I quattro partono con le idee chiare, a partire dalle belle e divertenti etichette, la maggior parte delle quali realizzate da Robby Davis, autore anche della grafica dei personaggi che popolano il suggestivo sito del birrificio; anche i nomi delle birre non sono banali, e si fanno subito notare per i coloriti doppi sensi: Citra Wet Ass Down, Show Us your Tetts, An Ale Pleasure, David Lee Froth e Shit Jeans, giusto per fare qualche esempio. L’efficacia del marketing e la qualità delle birre hanno subito un buon successo, grazie anche alla distribuzione effettuata dalla 12 Percent; per soddisfare una maggior porzione della domanda le birre vengono appaltate anche alla Pub Dog Brewing nel Maryland), mentre nel luglio del 2014 vengono ufficializzati i piani di espansione: nuovo birrificio in uno spazio di 2300 metri quadrati, con annesso magazzino e tasting room a Lousville, per aumentare del 400% la capacità produttiva; proprio in questi giorni dovrebbero inoltre essere prodotte anche le prime lattine. Gli ampi spazi a disposizione consentiranno inoltre di aumentare esponenzialmente i programmi di invecchiamento e affinamento in botte (con ovvio focus – visto che siamo nel Kentucky – sul legno ex-bourbon.) e delle birre della “Funked Up Series”, ovvero la linea “sour/acida”.
Qualcosa di Against The Grain si trova con un po’ d’impegno anche in Italia; tra le mani mi è capitata una bottiglia di Bay and Pepper your Bretts. Si tratta di una saison realizzata in collaborazione con Josh Lehman, chef del ristorante Holy Grale di Lousiville capace di accogliervi con la bellezza di 26 spine ed una lunga carta di birre; la spiegazione della birra è nel suo stesso nome: alloro (bay), pepe nero Tellicherry in grani e rifermentazione in bottiglia con brettanomiceti.
Nel bicchiere arriva di color oro antico leggermente velato, che si trasforma in un arancio opalescente se scegliete di versare anche i lieviti; la schiuma cremosa e bianca non è né particolarmente generosa e neppure molto persistente. Al naso è il pepe a dare il benvenuto, incalzato dalle note lattiche dei brettanomiceti e seguito dal dolce della pesca sciroppata, dell’ananas e della polpa d’arancio; completano il bouquet le erbe officinali, soprattutto alloro, e qualche lieve sentori floreale di geranio. Il gusto segue abbastanza fedelmente l’aroma: c’è una bella vivacità (carbonatazione) in bocca, con corpo medio e il giusto livello watery per garantire un’ottima scorrevolezza. Pane e biscotto, un po’ di pepe e il dolce della frutta (pesca, arancio) ben bilanciato dall’acidità lattica, molto leggera e affrontabile in tutta tranquillità anche per chi non ha molta familiarità con i lieviti selvaggi; più fuori dagli schemi è invece l’amaro, con un netto dominio di erbe officinali, soprattutto dell’alloro. Mi è sembrata quasi un'elegante versione borghese e meno emozionante di una qualche Fantome di Dany Prignon, ad esempio questa.
Bay and Pepper Your Bretts è comunque una saison molto pulita, dall’alto potete dissetante e rinfrescante, molto godibile soprattutto una volta che il palato si è abituato all’abbondanza di erbe officinali.
Formato: 75 cl., alc. 6.8%, IBU 23, lotto e scadenza sconosciuti, pagata 14.57 Euro.NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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