E’ sempre un piacere tornare a bere, di tanto in tanto, le ottime birre di Firestone Walker, birrificio californiano fondato nel 1996 da Adam Firestone e David Walker a Paso Robles, Contea di Santa Barbara.
Quercus Alba (ovvero Quercia Bianca) è il nome dato da Firestone Walker al proprio programma di maturazione e affinamento in botte, iniziato nel 2005 quasi “per caso” e oggi divenuto così grande da rendere necessaria la costruzione di un nuovo edificio a Buellton, 650 metri quadri destinati allo stoccaggio di qualche migliaio di botti ed alla produzione di birre acide. E' ormai di imminente apertura anche un brewpub con annesso ristorante a Venice Beach, Los Angeles.
Il birraio Matt Brynildson inizia quasi per “gioco” ad utilizzare botti usate di bourbon del Kentucky per far invecchiare alcune birre e vedere che cosa ne esce. I risultati sono molto interessanti, ma invece che imbottigliare semplicemente il contenuto delle botti, visto che il birrificio si trova all’interno della tenuta vinicola del padre di Adam (la Firestone Vineyard LLC), alcuni esperti viticoltori di Paso Robles vengono chiamati per assemblare un blend del contenuto delle varie botti che viene commercializzato nel 2006, per festeggiare il decimo compleanno del birrificio: nasce la Firestone Walker “10”.
Quello che era iniziato come un esperimento a tempo perso diventa un vero e proprio progetto e lentamente, ma non troppo, aumenta il numero delle botti e ogni anno la birra dell’anniversario di Firestone è un paziente assemblaggio di tutte le birre disponibili e che invecchiano (da diverso tempo) in botte: vengono utilizzate una Imperial Brown Ale chiamata Bravo (11% ABV), un’Imperial Amber Ale chiamata Rufus (11%), la Oatmeal Stout Velvet Merkin (5.5%) e Parabola, una robusta imperial stout (13%).
Il passo successivo quasi naturale ed è quello di commercializzare anche le stesse birre usate per il blend; la prima ad esserlo è proprio Parabola, che nel frattempo era diventata la componente principale delle ultime birre dell’anniversario e che era possibile assaggiare solo alla spina in alcune rare occasioni.
A maggio 2010 viene quindi inaugurata la Proprietary Reserve Series con 1000 casse contenenti bottiglie da 65 cl. di Parabola: la birra diventa una delle Firestone più ricercate, scalando rapidamente (per quel che conta) le classifiche di beer-rating. Attualmente per Beer Advocate Parabola è la seconda Russian Imperial Stout migliore al mondo, dietro alla versione Bourbon Barrel Aged Vanilla Bean della Dark Lord di Three Floyds, mentre è al diciassettesimo posto tra le migliori birre al mondo.
Proprio in questi giorni dovrebbe uscire la Parabola millesimo 2015, mentre io decido di tirare fuori dalla cantina quella del 2014, che ha debuttato praticamente un anno fa, esattamente il 19 marzo, 3500 casse di bottiglie ad un prezzo suggerito di circa 17 dollari più tasse.
La ricetta attuale, che ha subito alcune modifiche nel corso degli anni, dovrebbe prevedere malti Maris Otter Pale, Munich, Cara-hell, Carafa, Dark e Light Crystal, Chocolate, avena e orzo tostato; il luppolo utilizzato per l’amaro è lo Zeus, mentre a fine bollitura viene impiegato un non ben specificato “Hallertau”. La birra è stata poi affinata per un anno in diverse botti ex-Bourbon Woodford Reserve, Elijah Craig, Buffalo Trace e Four Roses; c'è da dire che ogni anno cambia il tipo delle botti (e il relativo blend) che vengono utilizzate per realizzare Parabola, e quindi ogni annata di Parabola è leggermente diversa dalle altre.
All’aspetto è di color marrone scurissimo e forma una piccolissima patina di schiuma beige scuro, che svanisce quasi immediatamente lasciando però un bel pizzo attorno ai bordi del bicchiere. Per assaporarne il profumo non è necessario avvicinare le narici al bicchiere, tanta è l’intensità. Il primo incontro è quello con un vino liquoroso, che poi si fa da parte per rivelare una notevole complessità fatta di prugna disidratata, ciliegia nera, mirtillo sciroppato, legno, tabacco, vaniglia, bourbon, fruit cake, toffee; predomina il dolce, senza nessuna stucchevolezza, grazie alla presenza di sfumature più scure di caffè, orzo tostato, cioccolato amaro e, a temperatura ambiente, di legno affumicato. Aroma potente e raffinato al tempo stesso. Al palato è sontuosa, con un corpo (medio-pieno) meno impegnativo del previsto, carbonazione bassa ed un consistenza viscosa e morbida, che le consente comunque di scorrere senza doverla masticare. Il primo sorso è quello che rimane impresso nella memoria: porto, lievi note di vino e di vaniglia, amaro intenso di caffè e tostature subito bilanciato dal dolce del fruit cake, del toffee, della prugna e uvetta sotto spirito, frutti di bosco. Il palato è avvolto da una coltre intensissima di sapori, con l'alcool che mette in mostra una splendida progressione, iniziando morbido con una suggestione di porto per poi arrivare al Bourbon, senza mai eccedere. E' lui, assieme all’acidità del caffè, ad asciugare un po’ il palato concedendogli qualche istante di riposo. Il retrogusto è praticamente infinito, sontuoso: caffè, lieve cioccolato amaro, tabacco e legno, il tutto amplificato da una generosa ma morbidissima presenza etilica.
Imperial Stout molto, molto intensa che, almeno per quel che mi riguarda, mantiene tutte le aspettative create dal suo biglietto da visita e dall'hype. Si sorseggia con un po’ d’impegno che alla fine non è neppure troppo, se si considera la gradazione alcolica (14%); decisamente oversize per una persona è invece il suo formato da 65 cl.: i primi sorsi sono assolutamente meravigliosi, ma dopo un po’ il palato sente la necessità di staccare un po’ la spina e di riposare. Non è indubbiamente una birra da bere tutti i giorni, ma riuscire a berla una volta l’anno sarebbe una grande fonte di soddisfazioni ed emozioni.
Sembrerebbe avere un buon potenziale d’invecchiamento, fortunato chi risiede negli Stati Uniti e può permettersi di verificarlo.
Formato: 65 cl., alc. 14%, IBU 82, imbott. 2014, pagata 29,99 dollari (USA)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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