La Victory Brewing Company viene fondata nel 1996 a Downingtown, Pennsylvania, da Ron Barchet e Bill Covaleski. I due erano compagni di scuola negli anni '70 e rimasero amici anche quando furono costretti a separarsi per frequentare college diversi sulle due coste opposte degli Stati Uniti.
Bill Covaleski eredita dal padre la passione e gli strumenti per l'homebrewing, regalando poi un kit anche a Ron. Terminati gli studi, Ron inzia a lavorare come analista finanziario per poi passare, dopo poco tempo, a fare un anno di praticantato come birrario alla Baltimore Brewing Company; il passo successivo è quello di volare in Germania per diplomarsi alla università di Weihenstephan. Tornato negli Stati Uniti, diventa birraio della Old Dominion Brewing Company in Virginia; nel frattempo il suo ruolo di birraio alla Baltimore Brewing Company era stato preso da Bill.
Acquisita la necessario esperienza, i due amici decidono che è giunto il momento di tornare assieme e mettetesi in proprio: iniziano la ricerca per il luogo giusto dove stabilire il loro birrificio. Scelgono inizialmente il Lago Tahoe, nella Sierra Nevada, ma non riescono ad acquistare in tempo i locali che avevano individuato. La decisione finale premia la natia Pennsylvania, dove la legislazione permetteva di aprire senza troppi costi accessori o vincoli un ristorante con mescita negli stessi locali del birrificio. A febbraio del 1996 viene quindi inaugurata la Victory Brewing Co. ed annesso ristorante da 144 coperti; la produzione, inizialmente di 1725 barili, è oggi arrivata a 126.000 barili l'anno; nella primavera del 2014 è stata anche inaugurata la nuova sede di Parkersburg, ad una ventina di chilometri di distanza, che si affianca a quella storica raddoppiando la capacità produttiva del birrificio.
L'idea iniziale di Ron Barchet e Bill Covaleski, entrambi diplomati in Germania, era di basare la produzione di Victory soprattutto sulla tradizione tedesca; ma mentre procedevano i lavori di costruzione ai due capita di assaggiare una bottiglia di Sierra Nevada Celebration, la IPA invernale del birrificio californiano. Delle tre birre con le quali debutta Victory nel 1996, due sono "tedesche" (la Victory Festbier e la Victory Lager) e una è un'American IPA chiamata HopDevil. Le aspettative sono che sia la märzen Victory Festbier a divenire la "flagship beer", ma in pochi anni è invece la HopDevil ad occupare il 60% della produzione.
Il "diavoletto" a forma di fiore di luppolo è una creatura di Bill, disegnato ancora prima della ricetta della birra, che in suo "onore" è stata poi chiamata HopDevil: malti tedeschi, luppolatura di Cascade, Centennial ed un terzo che il birrificio non intende rivelare.
Chi segue il blog con regolarità conosce la mia diffidenza verso le IPA & Co. che arrivano dagli Stati Uniti; birre che andrebbero bevute freschissime e che spesso l'attraversata oceanica ed i vari passaggi della distribuzione riducono ad un lontano ricordo di quelle che erano. Ancora peggio quando le trovate nei supermercati: la grande distribuzione non è certo abituata a trattarle nel modo appropriato, come magari fa (o mi aspetto che faccia) un appassionato proprietario di beershop, e magari lascia i cartoni sotto ad una tettoia al caldo dell'estate. Per questa occasione ho deciso di correre il rischio: l'etichetta riportava la data di scadenza che lasciava intuire una birra imbottigliata a fine novembre, quindi con tre mesi circa di vita. Non pochi, ma nemmeno troppi; scongiurato il pericolo del caldo estivo e approfittando del prezzo competitivo proposto dal supermercato, mi sono convinto all'acquisto.
Nel bicchiere arriva di color ambrato, limpida, con riflessi ramati; la schiuma avorio è compatta e cremosa, a trama fine, molto persistente. L'aroma è pulito ed ancora di una freschezza accettabile, e regala soprattutto i profumi del pompelmo e degli aghi di pino con delle sfumature terrose e di marmellata d'arancio; in sottofondo sentori biscotto e caramello. La Pennsylvania si trova sulla costa ad est degli Stati Uniti e questa birra riflette in pieno le caratteristiche delle IPA della East Coast; non cercate il "fruttone tropicale" californiano, non lo troverete. La bevuta è vigorosa ma elegante, con una solida base di biscotto e lieve caramello, una leggera presenza di agrumi e un bell'amaro intenso, resinoso e terroso, leggermente pepato. C'è pulizia ed intensità, l'alcool (6.7%) è molto ben nascosto; nonostante il nome minaccioso, è una birra morbida al palato che scorre benissimo, con una carbonatazione contenuta ed un corpo medio. Nessun eccesso di dolce che obblighi poi il birraio a calcare la mano sull'amaro per bilanciare, questa HopDevil rimane molto bilanciata per la maggior parte del tempo prima di abbandonarsi ad un bel finale amaro, intenso, mai raschiante, ultimo atto di una bevuta che lascia soddisfatti.
Formato: 35,5 cl., alc. 6.7%, lotto 10:16 P, scad. 24/11/2015, pagata 3.29 Euro (supermercato, Italia).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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