Oggi ci rechiamo in Galles, precisamente a Caerphilly, una quindicina di chilometri da Cardiff, dove ha sede il birrificio Celt Experience. Viene fondato nel 2007 da Tom Newman, un ingegnere e microbiologo che lascia il suo lavoro in un’industria dell’acqua per trasformare anni di homebrewing nel garage del padre a Banwell (Somerset) in una professione. Nel suo passato di adolescente, anche qualche lavoro come aiutante in un birrificio del Somerset.
Nel 2003, grazie ad un finanziamento di 10.000 sterline, Newman riesce ad acquistare un vecchio edificio ferroviario nei pressi di Yatton (Somerset) e ci installa una parte degli impianti della defunta Smiles Brewery, acquistati al prezzo di rottame. Il suo progetto è di formare un birrificio (ed un marchio) con un forte legame con la tradizione celtica: depositato il marchio “Celt”, c’è da risolvere il problema geografico. Non sarebbe molto coerente sbandierare la cultura celtica dal Somerset inglese. Nel 2007 ottiene quindi altri finanziamenti necessari per spostarsi in Galles ed acquistare lo stabile a Caerphilly dove il birrificio si trova tutt’ora e dove Newman stesso nacque. La produzione attuale è di circa un milione di litri l’anno, con una distribuzione che avviene principalmente presso supermercati (40%) e beershop: Newman stesso ammette di aver un po’ tralasciato i pub, per concentrarsi piuttosto sull’esportazione (35%) in venti paesi tra Europa, USA, Russia, Canada, Cile, Giappone e Australia. Il 2014 ha visto il birrificio arricchirsi di una creperie, dove i visitatori possono mangiare, e di una sala da Bowling. La produzione a Caerphilly è partita nel 2008 con una gamma di birre esclusivamente biologiche, ma Newman ammette che col passare degli anni la qualità delle materie prime è peggiorata sempre di più, al punto da convincerlo, nel 2011, a rivoluzionare completamente l’offerta del birrificio.
L'ammiraglia di Celt Experience è una imperial porter chiamata Ogham Ash; il riferimento è all'alfabeto ogamico, ovvero un tipo di scrittura che fu in uso soprattutto per trascrivere antiche lingue celtiche. La sua caratteristica principale è quella di non avere lettere di forme differenti, bensì di ottenere le differenti lettere con un numero diverso di incisioni a destra, a sinistra o attraverso una linea che costituisce il fulcro dello scritto. Incisioni che sono ben raffigurate in etichetta; ammetto la mia completa ignoranza di cultura celtica e quindi lascio ad altri il compito di decifrarle, anche se suppongo il loro significato sia "ash", ovvero cenere.
Nel bicchiere è praticamente nera, con una bella testa di schiuma beige, fine e cremosa, molto persistente. Al naso c'è subito l'alcool in evidenza (rum), con sentori di liquirizia, frutta secca (prugna, fico), frutti di bosco; molto più mi sottofondo qualche traccia di mela verde, tostature e, mi sembra, di marmellata d'agrumi. L'aroma è pulito ed ha una buona intensità. E' invece decisamente meno interessante quello che avviene in bocca: anche qui c'è una presenza dominante di alcool, ma è ingombrante, poco morbida. Le tostature non sono particolarmente eleganti e raschiano un po', la chiusura amara terrosa, torrefatta è leggermente salmastra; nel mezzo trovano posto caffè e frutta sotto spirito. Il corpo è medio, la consistenza è oleosa e privilegia la scorrevolezza alla morbidezza; le bollicine sono poche. Ma il maggior limite di questa birra è la bevibilità: la gradazione alcolica è importante (10.5%) ma sono numerosissime le birre in questo range che si lasciano bere quasi senza nessun sforzo. Questa Ogham Ash richiede invece molto impegno anche solo per essere sorseggiata, risultando un po' slegata in bocca e non molto soddisfacente. Ne ho sentito parlare molto bene, quindi per questa volta mi appello al sempre valido paravento della "bottiglia sfortunata".
Formato: 33 cl., alc. 10.5%, IBU 55, scad. 01/03/2015, pagata 4.75 Euro (beershop, Inghilterra).
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