Chi segue il blog con regolarità avrà notato come ultimamente sto cercando di sensibilizzare i lettori sull’argomento “freschezza della birra”. No, non sto ovviamente parlando della temperatura di servizio, ma dell’età della birra, ossia del numero di settimane/mesi/anni che passano dal momento dell’imbottigliamento a quello dell’acquisto e del consumo. Chiariamo subito il concetto: in generale la birra è una bevanda che va bevuta fresca, senza farla invecchiare; ai birrifici artigianali piace molto piazzare in etichetta la frase “gusto in evoluzione” ma, per la maggior parte delle birre, sarebbe più appropriato parlare di “gusto in INvoluzione”. Se confrontiamo il numero delle birre che si prestano all’invecchiamento rispetto alle altre, la loro percentuale è davvero bassissima; alcuni mesi possono effettivamente far “evolvere” il gusto di alcune categorie stilistiche, ma se parliamo di invecchiamenti lunghi, annuali o pluriannuali, vale il discorso appena fatto: la percentuale di birre adatte è molto bassa. Il problema è che calcolare “l’età” di una birra è spesso molto difficile. I birrifici che riportano la data d’imbottigliamento sono molto pochi, e non solo in Italia. Spesso troverete sull’etichetta solo la data di “scadenza” (preferibilmente entro) che non è però indicativa della data di produzione: la vostra Pils, Weizen, IPA o Golden Ale (cito giusto alcuni stili da NON invecchiare, mai) potrebbe essere stata prodotta 6 mesi prima della scadenza (produttore onestissimo) ma anche cinque anni prima. Altrettanto spesso troverete indicato il lotto di produzione: nella peggiore delle ipotesi si tratterà di un codice alfanumerico indecifrabile ed inutile per risalire alla data di produzione; nella migliore delle ipotesi, il codice vi darà un’indicazione dell’anno di produzione, spesso segnalato dalle ultime due cifre (es: LXX 14). Tutto bene se acquisto la birra in aprile (nella peggiore delle ipotesi avrà quattro mesi di vita); ma se la compro in novembre, come faccio a sapere se la mia Pils/IPA/Golden Ale sta per festeggiare il suo primo compleanno o se è stata prodotta in ottobre, ed è quindi freschissima? Nel dubbio, io non la comprerei. Tutte queste riflessioni saranno presto oggetto di un piccolo “progetto” (o una piccola “crociata”) che, dalla mia umile tastiera, lancerò in internet per cercare di spingere i birrifici a mettere in etichetta la data d’imbottigliamento o, almeno, di fornire ai consumatori le informazioni necessarie per decifrare il lotto “XJHFLX4”.
Il Birrificio Menaresta è sulla lista dei birrifici “virtuosi”, tra quei pochi, in Italia, che indicano la data di produzione. Bene, benissimo.
Volevo inizialmente “servirmi” di loro per una (scontata) dimostrazione empirica di come sia necessario bere la birra fresca: due bottiglie di Golosa, American Pale Ale. Una bottiglia è stata prodotta a settembre 2013 e quindi ha già 8 mesi di vita sulle spalle; una seconda bottiglia è “nata” il 27 Febbraio 2014, e di mesi ne ha solo tre. Il problema è che le due birre non sono uguali, ma simili: il buon Marco Valeriani mi ha "complicato" la vita utilizzando infatti un mix di luppoli diversi. Chiariamoci, non è solamente la “freschezza” che influenza la gradevolezza della bevuta di una birra, anche se ne è in buona parte responsabile. Soprattutto per le birre luppolate, che sono state disegnate per valorizzare al meglio i luppoli utilizzati, è in buona parte responsabile anche la materia prima. E questa non è sempre la stessa: ci sono annate in cui certe varietà di luppolo risultano eccezionali, altre in cui per diversi motivi (leggi agenti atmosferici) sono meno buone. Ci sono annate in cui il birrificio è costretto a cambiare il fornitore della materia prima, per far fronte alla mancanza di disponibilità. Ma questo è il bello (ed il brutto) di bere una birra artigianale e non una birra industriale, che invece rimane più o meno fedele a sé stessa nei secoli. Bene fa dunque il birraio ad aggiustare leggermente il mix dei luppoli (o dei malti) se quelli che utilizzava solitamente non sono della qualità desiderata.
L’esperimento “Menaresta” è quindi solo parzialmente significativo. Noto un leggero cambio di etichetta dal 2013 al 2014 , che però continua a non piacermi: suvvia, proprio non si può fare di meglio ?
La Golosa 09/2013 ospita Cascade, Chinook e Pacific Gem; quella 02/2014 invece Chinook, Simcoe, Citra e Columbus. Entrambe di color dorato, con riflessi arancio; la 2013 è un po' più limpida e genera una cappello di schiuma un po' più generoso, e più persistente. Identico il colore (biancastro), la finezza e la giusta cremosità. Il primo "esame" interessante per verificare il passaggio del tempo è indubbiamente quello olfattivo: nessun dubbio, solo conferme. Naso abbastanza spento per la 2013, poco intenso e poco fragrante: rimane qualche sentore floreale e di caramello, la presenza di agrumi suggerisce più che altro la marmellata che un arancio o un pompelmo appena tagliato. Ovviamente diverso lo scenario 2014: sono diversi i luppoli usati, ma quello che colpisce è la maggior intensità e la fragranza. L'aroma è piacione e ruffianotto, con freschi sentori tropicali di ananas, mango e papaia; alla macedonia va aggiunta altra frutta come pesca a pasta bianca e pompelmo, con una lieve presenza di caramello in sottofondo. Pressoché identico il mouthfeel: copro tra il medio ed il leggero, carbonazione modesta, e giusto compromesso tra la necessità di essere scorrevole e quella di risultare comunque morbida e non sfuggente. Entrambe le birre mostrano un percorso gustativo molto coerente con l'aroma: caramello e marmellata d'agrumi per la 2013, pulita ma poco fragrante e poco vitale, discretamente secca, e con una chiusura amara vegetale con lievi note resinose, di modesta intensità. Qualche traccia di caramello anche nella 2014, ma c'è soprattutto frutta tropicale appena tagliata (melone e mango), pesca e pompelmo, per un bevuta gustosa ed intensa, pulita, caratterizzata da un finale secco ed amaro tra resina e pompelmo, un giusto contrappeso "virile" ad una birra sino a quel momento ruffiana (o di "facili costumi", citando l'etichetta) e molto piaciona. Bevuta che parte bilanciata per poi accelerare un po' sull'amaro, con la sua percezione che va forse un po' oltre gli "standard" di una classica American Pale Ale.
Ripeto, si tratta di due birre simili ma non uguali, e l'unico confronto che m'interessava mettere in evidenza era quello dell'intensità dei profumi e della fragranza. Abbastanza difficile far durare la Golosa 2014, con la pinta che si vuota a grande velocità e con la freschezza dei profumi che invoglia a non staccarsi mai dal bordo del bicchiere. Diverso il discorso per la 2013: la bevuta è comunque facile ma più dolce, spostata sul versante caramello/marmellata, con poca vitalità e con un amaro vegetale che non "pungola" a dovere il palato, annioandolo un po'. Intendiamoci, è sempre preferibile ad una birra industriale, ma non potete dire che sia una bevuta soddisfacente, se avete già bevuto una birra "fresca" nella vostra vita.
Riassumendo in poche parole: cercate e comprate la birra fresca, per quanto potete. E se vi capita di comprarla direttamente in birrificio, chiedete espressamente di sapere quando il lotto che state per comprare è stato imbottigliato. Se non lo sanno loro...
Formato: 33 cl., alc. 5.3%, IBU 35.
- L055, prodotta 09/2013, scad, 09/2014, pagata 3,55 Euro (beershop, Italia)
- L086, prodotta 27/02/2014, scad. 27/02/2015, pagata 4.20 Euro (foodstore, Italia)
Pur seguendo questo blog ormai da tantissimo tempo, l'unico commento che lasciai mesi fa riguardava proprio il problema freschezza. Leggere questa tua "crociata" non può che farmi piacere. Rimango in ascolto, e spero di poter contribuire a modo mio :-)
RispondiEliminaCheers!