Birra e musica, un binomio molto comune e molto sfruttato commercialmente, sia dai birrifici che dall’industria musicale. In quest’ambito è necessario innanzitutto distinguere tra birre “ispirate dalla musica”, ossia prodotte di propria iniziativa dai birrifici, e birre commissionate dagli artisti (o da chi per loro) allo scopo di sfruttare il proprio nome.
Nel primo caso non si può non citare il birrificio americano Dogfish Head e le sue numerose birre-tributo a musicisti viventi e non: Miles Davis, Robert Johnson, Grateful Dead e Pearl Jam, solo per citarne alcune. Un altro famoso esempio viene dalla costa opposta degli Stati Uniti: per tutto il 2012, la californiana Lost Abbey commercializzò ogni mese una birra ispirata da una canzone che avesse “come argomento il paradiso o l’inferno”, come ad esempio Hell’s Bells degli AC/DC e Number of the Beast degli Iron Maiden. Le bottiglie rimaste a fine anno furono poi raccolte in cinquecento valigette di alluminio (simile a quelle usate per il trasporto degli strumenti musicali); / tra chi aveva in precedenza acquistato le singole bottiglie direttamente al birrificio, furono sorteggiate cinquecento persone alle quali fu data la priorità di acquistare il “box set” (che includeva anche una tredicesima birra “bonus track”) alla modica cifra di 450 dollari. Inutile dire che dopo qualche settimana le stesse valigette sono apparse su Ebay e altri siti a 750 dollari; e magari qualcuno le ha pure comprate.
Meglio allora pensare a progetti meno ambiziosi, come ad esempio la Sgt. Pepper Farmhouse Ale della Cambridge Brewing Company, chiaramente ispirata dall’omonimo disco dei Beatles, o alla Smoke on the Water Porter della Heavy Seas, un evidente tributo ai Deep Purple. In Italia mi piace ricordare (se non altro per il gruppo coinvolto, i Joy Division) la Delta Red Disorder di Toccalmatto.
Diverso è invece il caso alle birre commissionate direttamente dai gruppi musicali o da chi ne detiene i diritti di sfruttamento dell’immagine; gli introiti derivanti dalle vendite dei cd sono crollati, ed è necessario attingere a piene mani da tutto il resto per campare: concerti, reunion, merchandising e tante altre tristi operazioni commerciali. L’Heavy Metal / Hard Rock è un genere (che non mi piace affatto, lo dichiaro apertamente) particolarmente avvezzo a queste operazioni. La Trooper, “birra ufficiale” degli Iron Maiden, è forse l’ultimo e più noto esempio. Prodotta dal birrificio inglese Robinson, pare abbia riscosso un ottimo successo e pare non sia neppure una birra così terribile: personalmente non ho ancora avuto la (s)fortuna di assaggiarla.
Ma prima di loro ci sono stati gli Status Quo con la Piledriver, una bitter prodotta dalla Wychwood Brewery e i Motorhead che (oltre ad avere già commercializzato dei vini a loro nome) hanno realizzato la Bastards Lager (Krönleins Bryggeri, Svezia). Aggiungo alla lista i Sepultura, che a dispetto del loro nome (vi aspettavate una imperial stout o una IPA asfalta palato?) hanno festeggiato il loro venticinquesimo anniversario con la “innocua” ma dissetante Sepultura Weizen realizzata con la Cervejaria Bamberg. Ah, siamo in Brasile, non in Germania. Kitsch ma bello il cofanetto, a forma di amplificatore, nel quale le bottiglie potevano essere acquistate. Chiudo questa mini-rassegna con la Destroyer dei Kiss (prodotta sempre dalla svedese Krönleins) che a dispetto del nome minaccioso è un’innocua pale lager e con quella che probabilmente è l’unica birra decente: la collaborazione tra Thornbridge e Ed Cosens, chitarrista (ed homebrewer) della band The Reverend and the Makers.
E veniamo alla birra di oggi, la AC/DC beer, che è arrivata nel 2013 in Germania, Svizzera, Austria ed in altri paesi europei; al momento l’Italia ne sia rimasta esclusa. Il gruppo australiano credo non abbia bisogno di presentazioni anche a chi (come me) non piace la loro musica. Già titolari (con buon successo) di una linea di vini ed altre bevande gli AC/DC hanno pensato d’incrementare il loro fatturato lanciando anche una birra al grido di “Australian Rock meets German beer”. Viene prodotta "secondo l’editto di purezza e secondo il manifesto Rock’n’Roll” (sic) dalla Karlsberg Brauerei di Homburg (Germania), un nome che presenta una straordinaria assonanza con una nota multinazionale. E’ disponibile nel generoso fustino da cinque litri e nella lattina formato pinta (568 ml.) che ricalca la grafica del loro album più recente, “Rock or Bust”: premium lager secondo il comunicato stampa ufficiale, premium pilsner secondo quanto riportato in lattina.
Dorata e limpidissima nel bicchiere, forma una compatta testa di schiuma bianchissima, cremosa e dalla buona persistenza. L’aroma è pulito, anche se non è certo un elogio all’eleganza ed alla fragranza: mollica di pane, cereali, qualche sentore di miele, floreale (camomilla) ed erbaceo. Tutto nella norma anche in bocca: birra scorrevolissima e facile da bere, leggera, discretamente carbonata, intensità del gusto piuttosto bassa. Di nuovo mollica di pane, cereali e miele, qualche fastidiosa nota metallica ed un finale amaro erbaceo non particolarmente elegante e gradevole. Il livello di amaro percepito è senz’altro superiore ad una lager “standard”, mentre la secchezza è indubbiamente inferiore a quella che m’aspetterei di trovare in una pils; il palato rimane un po’ appiccicoso, lievemente imburrato, ma sulla presenza di diacetile non metterei la mano sul fuoco. In sostanza non è troppo diversa da una delle tante anonime ed acquose lager/pils industriali: disseta, fa fare il ruttino (anche ai concerti!) ma non regala nessuna particolare emozione o soddisfazione, se non per il portafoglio di chi l’ha ideata. Una pinta di marketing, una birra assolutamente superflua se non inutile, a meno che non l’acquistiate per la vostra collezione di lattine o di memorabilia AC/DC: a proposito.. prima che la butti nell’immondizia, interessa a qualcuno?
Formato: 56,8 cl., alc. 5%, lotto L13K4 08:31, scad. 11/2015, pagata 1.44 Euro (supermercato, Germania).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
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