Parte a marzo 2013 l’avventura di uno dei birrifici italiani dal nome più curioso: La Casa di Cura. La “clinica” trova sede in un ex-confetturificio nella frazione Senarica di Crognaleto (Teramo) circondato dal Parco Nazionale del Gran Sasso e dai Monti della Laga. Quattro i soci coinvolti, il più noto dei quali ai birrofili è senz’altro quello di Luigi Recchiuti del birrificio Opperbacco (Notaresco è ad un’ora di macchina), ma c’è anche Loreto Lamolinara, già collaboratore proprio di Oppernacco per le ricette di Deep Undergound ed Imperial Deep Underground. Gli altri due “medici” e soci della Clinica sono il birraio Alfredo Giugno e l’esperto di botanica (se non erro) Tonino Ventilii.
Tutti i nomi delle birre richiamano il settore medicale: c’è una Brown Ale chiamata “Flebo” ed una IPA chiamata “T.S.O” (Trattamento Sanitario Obbligatorio), prodotta con una sola tipologia di malto e di luppolo, diversa ad ogni cotta, e l’aggiunta di una spezia. In collaborazione con Buskers è stata invece realizzata una Scotch Ale chiamata “Peacemaker”.
Il “concept” dietro a La Casa di Cura mi piace, ed è molto azzeccato: devo però fare una critica al sito del birrificio, non particolarmente curato e accattivante. Non so se la sua semplicità sia frutto di una scelta consapevole o se sia quello che il budget a disposizione (col quale bisogna sempre fare i conti!) consentiva.
Una delle ultime birre realizzate da La Casa di Cura è la “T.A.C.”, acronimo che sta per Tomografia Assiale Computerizzata. Si tratta in verità di una saison prodotta con malto pilsner e fiocchi di frumento, mentre i luppoli utilizzati sono Chinook e Sorachi Ace, sia per l’amaro che per l’aroma; ne è stata realizzata anche una versione dry-hoppata, chiamata TAC+, distribuita solo in fusto e realizzata assieme al il pub/beershop romano Birra+.
Arancio pallido nel bicchiere, velato, versa un’esuberante quantità di pannosa schiuma bianca che colma immediatamente tutto il bicchiere obbligando ad una discreta attesa per poterlo rabboccare. Una volta “composto” il tulipano di birra, si possono apprezzare i profumi delle spezie donati dal lievito (pepe, lieve coriandolo), degli esteri (pera, fiori bianchi), degli agrumi (soprattutto arancio) assieme a sentori più lievi di miele. Il bouquet così composto ha una buona intensità, un’ottima pulizia e quel lieve carattere rustico che non dovrebbe mai mancare in un saison. L’abbondantissima schiuma si riflette in una carbonatazione molto elevata, un po’ sopra le righe anche per uno stile che prevede una buona quantità di bollicine: scorrevolissima grazie ad un corpo leggero e ad una consistenza “watery”, svolge la sua funzione dissetante e rinfrescante senza nessun compromesso con l’intensità. E in bocca è una bella (buona) saison che inizia dall’ingresso di crosta di pane e cereali per poi mostrare un sano DNA rustico e un po’ ruvido (ma è da intendersi come pregio e non difetto), con la speziatura che ben si sposa con l’amaro (erbaceo, terroso, leggermente zesty) e le vivaci bollicine. Il palato è continuamente pungolato a bere e a ribere: manca forse un po’ il dolce della frutta (Sorachi, dove sei finito?), ma c’è comunque una bella acidità a garantire una birra sempre bilanciata e fresca al palato.
Medicina efficace contro la sete, non è ovviamente reperibile in nessuna farmacia ma sarebbe davvero bello se si potesse acquistare fornendo il proprio codice fiscale per poi detrarla dalla propria denuncia dei redditi. Il mio medico si è rifiutato di prescrivermela, chissà che voi non siate più fortunati.
Formato: 33 cl., alc. 5.5%, lotto L2014, scad. 06/2015, pagata 4.00 Euro.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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