Fu Reg Drury, mastro birraio alla Fuller's fino alla fine degli anni 90, a creare, tra altre, anche la London Porter; era esattamente il 1996 e a quel tempo, se non erro, la Griffin Brewery (ovvero Fuller's) era l'unico birrificio rimasto in vita a Londra. Oggi sono passati quasi vent'anni e in quello che era ormai diventato un deserto brassicolo, dominato dalle multinazionali, è tornata la vita; la capitale del Regno Unito ha saputo reinventarsi come solo lei sa fare, dando vita all'ennesima new wave, fedele al motto di Samuel Johnson: "when a man is tired of London, he is tired of life".
Londra è attualmente una delle migliori destinazioni brassicole al mondo dove possiate sognare di andare, e anche se la maggior parte dei birrofili arriva nella capitale attirata da The Kernel, Camden Town, Partizan o per passeggiare per le strade di Hackney (nel giro di pochi chilometri ci sono Pressure Drop, Redchurch, London Fields, Five Points, Howling Hops e Beavertown), la Fuller's è ancora lì, con le sue birre quasi impermeabili alle derive modaiole, capace anche lei di reinventarsi andando a ripescare dal suo immenso archivio storico (la serie The Past Masters) delle magnifiche birre.
Dopo la bitter London Pride, che rappresentava quasi un grido di orgoglio per essere ancora in piedi, in una Londra che stava sterminando tutte le fabbriche di birra, nel 1996 viene alla luce questa London Porter, per la quale Reg Drury trova l'ispirazione andando a rovistare in archivio e adattando in questo caso una ricetta che risale all'inizio del ventesimo secolo.
Meno fortunata, secondo me, la scelta fatta da Fuller's nel 2013 di cambiare la forma delle bottiglie che ormai venivano utilizzate da diciannove anni: quelle nuove, più strette e leggermente più alte, con l'etichetta posizionata in alto anziché al centro, continuano a non piacermi.
Molto più convincente il suo contenuto, marrone scurissimo, ai margini del nero, e schiuma beige chiaro a trama fine, cremosa e dalla buona persistenza. Al naso c'è l'essenziale, quanto basta, ovvero pulizia ed eleganza: caffè, cioccolato al latte e amaro, orzo tostato, cenere; a temperature ambiente emergono anche leggere suggestioni di caramello, vaniglia, cuoio. Ottimo l'arrivo al palato: poche bollicine, corpo tra il medio ed il leggero, perfettamente in equilibrio tra la volontà di essere scorrevole e quella di non risultare troppo acquosa, lasciando una sensazione morbida che avvolge il palato. C'è grande intensità, nonostante la modesta gradazione alcolica (5.4%), fatta di caffè, tostature eleganti, cioccolato amaro: l'acidità del caffè è la sfumatura conclusiva che dà un po' di riposo al palato, permettendogli poi di assaporare il retrogusto, ugualmente intenso, fatto di raffinate tostature, cenere e caffè. Pulitissima e ben fatta, con un gusto ancora più "nudo" e semplice dell'aroma, all'insegna del "less is more".
Grazie alla cosiddetta "rivoluzione della birra artigianale" ci troviamo nel bicchiere dei prodotti che ci sorprendono, che sono complessi e difficili da descrivere, per i quali è a volte necessario utilizzare una dozzina di descrittori. Non si deve però mai commettere l'errore di "snobbare" la semplicità, perché un'ottima birra può essere anche (e soprattutto) una birra semplicissima da descrivere e da bere: e questa London Porter di Fuller's ne è un ottimo esempio.
Formato. 50 cl., alc. 5.4%, lotto 197 17:03, scad. 16/08/2015, pagata 3.07 Euro (foodstore, Germania).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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