martedì 29 novembre 2016

Birra del Bosco Pale Whale

Secondo appuntamento con il birrificio trentino  Birra del Bosco, giovane realtà operativa dal 2013 a San Michele all'Adige (Trento) e già ospitata qualche settimana fa con la IPA Froggy Hops. Lo fondano Gabriele Tomasi (birraio) e Marco Pederiva (commerciale), due compagni di liceo che si sono ritrovati dopo aver terminato gli studi universitari scoprendo di avere entrambi la passione per la birra e l’homebrewing. Tomasi ha studiato in Belgio (leggo di esperienze formative presso Dupont e Cantillon) mentre Pederiva, in giro per il mondo per lavoro, scoprì in un locale di Amsterdam che c’era un universo di birre oltre a quelle industriali che affollano gli scaffali dei supermercati. Scoprendo di condividere anche la passione per l’homebrewing, i due ragazzi redigono un business plan e si danno un anno di tempo per elaborare ricette, sperimentarle, affinarle e fare pratica presso qualche altro birrificio.  
Birra del Bosco inizia nel 2013 come beerfirm per testare la ricettività del mercato: i sondaggi sono stati evidentemente favorevoli visto che a metà del 2014 diventa operativo l’impianto di proprietà da 10 HL. L’intento dichiarato è di fare birre  “facili da bere”, ovvero non troppo impegnative e quindi accessibili anche ai palati meno esperti.  Dopo la Froggy Hops IPA è il momento d’assaggiare un’altra birra anch’essa inviatami dal negozio Iperdrink.it  
 Si tratta della golden ale Pale Whale, letteralmente la “balena pallida”; recita l’etichetta: “molto tempo fa un uomo trovò due cuccioli di lupo sulla spiaggia.  Impietosito, li portò a casa con sé e li allevò.  Quando i cuccioli crebbero, nuotarono molto lontano nell'oceano, uccisero una balena e la portarono a riva come dono al padrone.  Fecero questo per moltissimi giorni, ma presto ci fu troppa carne che cominciò a guastarsi.  Quando il Grande Spirito sopra le nuvole vide quello spreco creò un'immensa nebbia che non permise ai due lupi di tornare a riva.  E fu così che i predatori diventarono Orche assassine”

La birra.
Golden Ale che utilizza luppoli americani, si colora il bicchiere di un bel dorato un po’ pallido e velato; la schiuma è cremosa e compatta ma non molto generosa e dalla discreta persistenza. L’aroma è abbastanza sottotono, l’intensità è davvero modesta: a malapena avverto profumi di miele e floreali, qualche nota di crackers. Il birrificio la descrive come “una birra beverina non impegnativa” e direi che queste caratteristiche si ritrovano in pieno al palato: la facilità di bevuta non è però in antitesi all’intensità, e devo dire che il gusto di questa golden ale non è molto generoso. L’aroma viene ricalcato in pieno nei pregi e nei leggeri difetti; crackers, miele, un lieve fruttato che richiama gli agrumi ma anche una leggerissima presenza di quel diacetile che l’aroma aveva annunciato. La secchezza un po’ ne risente, una patina dolce avvolge sempre il palato limitando il potete dissetante di questa birra; la schiuma che quasi non si riforma anche roteando il bicchiere testimonia una bottiglia un po’ fuori forma che non brilla per fragranza e per pulizia, benché fruibile senza particolari problemi. La chiusura è delicatamente amara (terroso, erbaceo) e molto corta, con un ritorno di cereale. 
Capisco che si tratti di una gateway beer che punta a conquistare chi ha sempre ordinato una "bionda" o una "rossa" generica: la bevuta risulta quindi rassicurante per chi è abituato alla birra industriale ma risulta un po' anonima e carente di personalità per chi invece ha già fatto il salto dentro la craft beer revolution.  La bottiglia poco in forma non aiuta certo a valorizzare una Golden Ale che di semplicità, pulizia e fragranza dovrebbe fare la sua raison d'être.
Formato: 75 cl., alc. 5%, IBU 27, lotto 162927, scad, 08/2017.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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