Non è stato facilissimo mettere assieme tutti i tasselli del puzzle, ma spero di avercela fatta. Partiamo dagli “stronzi”, ve li ricordate? Stronzo Brewing Company, microbirrificio danese fondato nel 2011 che, sebbene mai importato in Italia, ebbe nel nostro paese una certa risonanza non solo per il nome scelto ma per aver anche annunciato nel 2012 la Birra Berlusconi, un progetto credo mai concretamente realizzato. La Stronzo non ebbe vita lunga, l’export non andava molto forte e la città di Copenhagen mai autorizzò l’apertura di un brewpub nel distretto Vesterbro che avrebbe dovuto assorbire buona parte della produzione: un’idea che precedette di qualche anno quella di Mikkeller, più abile a farsi concedere il benestare per aprire proprio a Vesterbro il suo brewpub Warpigs assieme agli americani di Three Floyds.
A luglio 2014 Stronzo dichiara fallimento; i suoi impianti ed il mutuo per l’acquisto degli stabili di un ex caseificio a Gørløse (40 km a nord ovest di Copenhagen) vengono rilevati qualche settimana dopo da Simon Toft Hansen e Tobias Rieck. Hansen è proprietario dell’Ølsnedkeren (il carpentiere della birra) un brewpub nel quartiere Nørrebro di Copenhagen aperto nell’agosto 2012; Rieck è invece titolare della beerfirm Brøggeren che dalla fine del 2013 produce sugli impianti di Ølsnedkeren.
L’ex birrificio Stronzo viene rinominato Ølkollektivet e contemporaneamente Ølsnedkeren cessa di produrre birra diventando tecnicamente una beerfirm che produce le proprie birre sugli impianti della Ølkollektivet. Da notare come nel 2013 Ølsnedkeren e Stronzo erano stati tra i più prolifici produttori danesi con oltre 50 nuove birre a testa, più di una ogni settimana!
Il “regno” di Simon Toft Hansen e Tobias Rieck dura però solamente sei mesi, perché a gennaio 2015 il birrificio Ølkollektivet viene acquistato da Søren Wagner e Jay Pollard, proprietari dal 2011 del beer bar di Copenhagen Fermentoren (Halmtorvet 29C, non lontano dalla stazione dei treni), 24 spine dedicate al craft e una succursale aperta di recente ad Aarhus. Alla Ølkollektivet si continua a lavorare per conto terzi ma s’inizia anche a produrre “le birre della casa” del Fermentoren, che diventa quindi anche una beerfirm; Ratebeer ne elenca circa una decina. Ma Søren Wagner è anche già proprietario di un’altra beerfirm chiamata Croocked Moon Brewing, una cinquantina di birre prodotte soprattutto presso gli impianti della Nørrebro Bryghus dove lavorava come birraio. In parallelo Wagner e il socio Pollard lanciano anche una seconda beerfirm chiamata con lo stesso nome della società da loro fondata (Dry & Bitter ApS) per la gestione dei Fermentoren.
La Dry & Bitter Brewing Company debutta nella primavera del 2015: cinquanta birre realizzate in poco più di un anno di vita, al solito ritmo frenetico per stare dietro alla costante ricerca di novità dei beer-raters. Ducentomila i litri prodotti nel primo anno di vita, con la Session IPA Christian Bale Ale e la Double IPA Hobo Chic a tirare le fila.
Nel frattempo alla Ølkollektivet (di proprietà Dry & Bitter, ricordo) si continua a produrre un po’ per tutte le beerfirm danesi emergenti, con alcune di loro che vi hanno anche piazzato i propri fermentatori: Bad Seed Brewing, Ghost Brewing, Black Rooster, Gamma Brewing Company, Vassingerød, Ølsnedkeren e ne avrò probabilmente dimenticata qualcuna.
Da qualche mese le Dry & Bitter sono arrivate anche in Italia, con le loro etichette che oscillano tra il fumetto ed il retrò senza disdegnare incursioni nell’arte: il luppolo la fa ovviamente da padrone, con imperial stout e le prime “sour” a completare la gamma.
Dank e Juicy sono due termini anglosassoni oggi molto di moda tra i beergeeks; quelli del Fermentoren, che evidentemente conoscono bene clienti dei propri locali, le utilizzano per la loro interpretazione di West Coast IPA. Per i meno esperti, dank è un termine la cui traduzione letterale (umido, freddo) non dice molto applicata alla birra; pensate piuttosto alla marijuana (stessa famiglia del luppolo) e al fatto che a volte alcune varietà di luppolo americano possano effettivamente dare alla birra un profumo che ricorda la Cannabis. Juicy si riferisce al carattere fruttato e “succoso” anch’esso impartito da alcuni luppoli: un normale descrittore che è diventato tremendamente di moda da quando il mondo dei geeks ha scoperto le cosiddette Juicy (o Cloudy) IPA che vengono prodotte da alcuni birrifici del New England. Per semplificare, oggi direte che una IPA della West Coast è “fruttata” ma non “succosa”: perché il termine “juicy” è ormai riservato a quelle IPA torbide, con poco amaro, tremendamente simili anche nel gusto ad un succo di frutta. Si scherza, eh. Ma non troppo.
Dank & Juicy, un punto d'incontro ideale tre West ed East Coast statunitense. Citra, Equino e Mosaic sono i luppoli utilizzati per questa IPA che si presenta di un torbido color oro/arancio con una discreta testa di schiuma bianca e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma è ovviamente una macedonia di frutta fresca, valorizzata dalle poche settimane di vita di questa bottiglia: pompelmo, cedro, limone e forse qualsiasi altra declinazione d'agrumi alla quale possiate pensare, La frutta tropicale annunciata in etichetta rimane in secondo piani mentre per quanto mi sforzi di cercarlo, di dank c'è forse giusto un accenno. In bocca è morbida e scorre bene, forse le manca qualche bollicine (davvero poche, qui) per essere un po' più vivace. Difficile percepire i malti (crackers) in un gusto dove la frutta esplode sin dall'imbocco: mango ed ananas sono i due elementi principali di una "generica" sensazione tropicale che avvolge il palato, affiancata da pompelmo ed altri agrumi. La bevuta risulta facile e molto secca, mentre il finale in quanto West Coast IPA convince meno del dovuto, con l'amaro della resina che viene quasi oscurata da note zesty e leggermente terrose. IPA effettivamente "succosa" ma sicuramente non juicy nell'accezione del New England; il livello è piuttosto alto ma pulizia ed eleganza sono ben lontane dall'eccellenza. Un po' rozza in alcuni passaggi, più sfacciatamente fruttata che educata, è comunque una bella bevuta che soddisfa e "ti fa sentire al passo coi tempi".
Continuiamo con una porter “robusta” (7.3%) chiamata Still Lifestyle prodotta con infusione di caffè a freddo (Cold Brew Coffee); la bella etichetta esprime alla perfezione lo "stile di vita alla natura morta" con una lasciva signora intenta a fumare su di una poltrona a forma di calice di birra. Un inquietante teschio in sottofondo ci ricorda forse che i vizi (fumo, alcool) non sono salutari. Quasi nera, forma un mediocre cappello di cremosa schiuma nocciola un po' grossolana e dalla discreta persistenza. Il caffè domina il naso in lungo e in largo, sia nella forma dei chicchi che in quella liquida dell'espresso. Intenso ed elegante, relega in sottofondo le sfumature di cenere, tabacco, cuoio. Anche in questa birra ci sono poche bollicine, il corpo è medio mentre la consistenza sembra prediligere la scorrevolezza alla cremosità. Caramello e liquirizia caratterizzano il dolce a supporto del monopolio del caffè con qualche breve intervallo di cioccolato amaro e tostature, sopratutto nel finale; l'alcool è quasi non pervenuto, l'amaro è ben bilanciato da una gradevole acidità. Nel bicchiere c'è semplicemente una birra al caffè, monotematica, senza fronzoli, bilanciata ed essenziale ma ben assemblata ed elegante.
Nel dettaglio:
Dank & Juicy, 33 cl., alc. 6.2%, imbott. 17/11/2016, scad. 15/09/2017, prezzo indicativo 5.00 € (beershop)
Still Lifestyle, 33 cl., alc. 7.3%, lotto non indicato, scad. 01/07/2017, prezzo indicativo 5.00 €(beershop).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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