John Kimmich scopre la birra artigianale all’inizio degli anni ’90 quando frequenta il college a Pittsburgh, Pennsylvania, e sta lavorando ad una ricerca sull’industria della birra. Al termine degli studi utilizza tutti i suoi risparmi per acquistare una macchina usata e andare in Vermont dall’amico e “mentore”
Greg Noonan (prematuramente scomparso nel 2009), proprietario e birraio del Vermont Pub and Brewery di Burlington nonché autore di molti libri e figura di riferimento per il movimento craft del New England.
Greg gli insegna a fare il birraio e in cambio John lavora nei weekend come cameriere, senza stipendio: dopo un anno d’addestramento viene promosso e mandato in sala cottura. Ma al Vermont Pub
John incontra anche Jennifer, a quel tempo cameriera:
“ci sposammo e iniziammo a viaggiare in Wyoming, Idaho, Boston. Feci il birraio, il portiere negli hotel (belle mance!) e in quei sei anni pianificammo e mettemmo da parte ogni dollaro guadagnato per poter aprire il nostro brewpub in Vermont. Inaugurammo The Alchemist Pub and Brewery il 29 Novembre 2003, era un venerdì sera e il sabato mattina successivo Jen scoprì di essere incinta! Furono le ventiquattr’ore più intense della nostra vita. Il nome ci fu ispirato dal Vermont Pub, nel cui logo c’era anche raffigurato un piccolo alchimista.”
Quello che oggi è uno dei nomi più ricercati dai beergeeks americani inizia la sua avvenuta come un semplice brewpub del paese di Waterbury, 5000 abitanti; 60 posti a sedere, un biliardo e il piccolo impianto da 10 ettolitri nel seminterrato dal quale escono soprattutto birre d’ispirazione anglosassone: Pappy’s Porter, Piston Bitter e Bolton Brown. Ma a due mesi dall’apertura John vuole anche iniziare a giocare con i luppoli: alle spine del pub viene servita per la prima volta una Double IPA chiamata Heady Topper, una birra destinata a cambiare la vita ai coniugi Kimmich. A quei tempi le IPA non erano molto diffuse nella zona: “la gente era sconvolta – ricorda John – non avevano mai bevuto nulla del genere e impazzivano”.
La Heady Topper veniva prodotta occasionalmente 3-4 volte l’anno, era possibile berla solo al brewpub ma il passaparola tra gli appassionati americani era ormai iniziato: nel giro di pochi anni, senza nessuna pubblicità o marketing, The Alchemist era diventato una mecca per i beergeeks. Alcuni di loro si portavano i bicchieri in bagno, riempivano delle bottiglie di vetro, le tappavano e le portavano via di nascosto per scambiarle o rivenderle con altre birre. Fu Jen Kimmich a dare la svolta:
“per me era inconcepibile –
ricorda John -
Io stavo nel seminterrato a fare birra tutto il giorno e Jen mi diceva che dovevamo aprire una seconda location per mettere la birra in lattina. Pensavo che fosse impazzita, eravamo già troppo impegnati. Ne discutemmo per oltre un anno ma alla fine mi convinse che era la cosa giusta da fare”.
Domenica 28 agosto 2011: è ormai tutto pronto per il debutto della lattine di Heady Topper quando
la tempesta tropicale Irene colpisce Waterbury e le acque del fiume Winooski tracimano allagando anche il brewpub The Alchemist. Tutto quello che si trova nel seminterrato (impianto, fermentatori, uffici, materie prime) è perduto e inutilizzabile. Per i Kimmich che avevano appena investito in una seconda sede (fortunatamente in collina e quindi risparmiata dalle acque) è il momento di decidere se mollare tutto per ricominciare altrove o andare avanti. Due giorni dopo vengono confezionate le prime lattine: quello che John pensava fosse una mozza azzardata era ora la loro unica fonte di reddito:
“la gente arrivò da ogni luogo per comprare le lattine di Heady e supportarci; furono giorni molto emotivi. In pochissimo tempo riuscimmo a ripartire con la produzione e ad assumere alcuni dei vecchi dipendenti del pub”. Le assicurazioni però non intendono coprire la ricostruzione di un birrificio in un seminterrato e così la “cannery” in collina viene dotata di una piccola tasting room e di un punto vendita che vengono subito presi d’assalto: la produzione passa dai 470 ettolitri/anno del brewpub a 1760 ettolitri e dopo un anno sale a 10500 ma non è ancora sufficiente a soddisfare tutte le richieste per una Double IPA che è ai primi posti delle classifiche dei siti di beer rating. Il parcheggio antistante lo stabilimento non riesce a contenere il flusso delle macchine dei beergeeks che si riversa sulle strade circostanti creando ingorghi: i vicini e la municipalità si lamentano e, dopo solo due anni,
i Kimmich sono costretti a prendere la decisione di chiudere la “cannery” al pubblico. In realtà pare che il birrificio f
osse anche privo dei permessi necessari per la vendita al dettaglio.
Lo stato dal Vermont consente ai birrifici di auto distribuirsi le birre e la caccia dei beergeeks alla Heady continua nel raggio di 25 miglia attorno a Waterbury, dove The Alchemist distribuisce regolarmente. Alcuni seguono i camion che partono dal birrificio per arrivare prima di tutti nei luoghi (soprattutto alimentari e stazioni di servizio) dove poi saranno messe in vendita le lattine: i fans creano il sito
Heady Spotter (non più aggiornato da marzo 2017 con l’inizio delle vendite on-line da parte di Alchemist) per far conoscere in anticipo il giro delle consegne dei furgoni e organizzare gli appostamenti fuori dai negozi. Non è però questo a preoccupare maggiormente John:
“fu una battaglia educare i nostri rivenditori alla catena del freddo. Per loro era qualcosa di inusuale, tenevano in frigo solo qualche birra ma la maggior parte era sugli scaffali”.
A luglio 2016 The Alchemist
inaugura un secondo e più grande birrificio a Stowe, una ventina di chilometri di distanza: 1500 metri quadrati, ampio parcheggio, giardino con vista sulle montagne circostanti. E’ su questo impianto da 30 barili (47 hl) che oggi sono prodotte quasi tutte le birre per un totale di circa 15000 ettolitri all’anno. Tutte tranne la Heady Topper: a Stowe la vendono ma John assicura che lei è ancora prodotta solo a Waterbury, assieme ad altre birre prototipali o sperimentali. Le due location danno oggi lavoro ad una cinquantina di persone. Il brewpub originale di Waterbury
non è mai rinato: i Kimmich avevano iniziato a ristrutturarlo ma hanno poi deciso di venderlo e al suo posto vi è oggi il Prohibition Pig Brewpub.
La birra.
“Una birra che sapesse di erba (marijuana) buona: questo era più o meno il mio obiettivo quando ho ideato la Heady Topper”, “a beautiful tribute to dank American hops “.
Così la definisce John, ma non è stata questa la caratteristica che l’ha resa così famosa: in una nazione abituata alle birre (artigianali) limpide e cristalline, quello che ha attirato l’attenzione dei beergeeks è stato soprattutto “l’haze”,
il suo colore torbido. “
E’ da sempre che educo la gente sulle birre torbide, non filtrate: provatele, assaggiatele e poi vediamo se ancora le criticherete. Andate a rileggere le prime recensioni della Heady su BeerAdvocate; tutti dicevano che era fantastica ma brutta e torbida, tutte quelle particelle in sospensione! Chi se ne frega, io volevo essere diverso dagli altri. Sin da quando le facevo negli anni 90 con Greg Noonan la gente ci prendeva per il culo perché le nostre IPA erano solo velate; la cosa è abbastanza divertente se si pensa a tutte quelle birre fangose che vengono vendute oggi. A quel tempo c’erano solo le Hefeweizen d’ispirazione tedesca: noi volevamo che la gente si liberasse di quel concetto di birra limpida e cristallina, capace di resistere per 12 mesi sugli scaffali al caldo, alla quale era abituata. Non ho mai voluto fare una IPA intenzionalmente opalescente; è solo un risultato del processo usato per ottenere i profumi e i sapori che avevo in mente”.
La Heady Topper
viene spesso considerata la capostipite delle New England IPA, ma John non è d’accordo: “
E’ solo una IPA, non si merita una categoria tutta sua come quella delle Vermont IPA! Quelle che chiamano New England IPA sono molto diverse dalle nostre birre, oggi i birrai cercano di ridurre al massimo l’amaro mentre io voglio che l’amaro si percepisca per avere equilibrio. Oggi il fattore “hazy” è sfuggito di mano. La gente vende dei milkshake con due dita di lievito sul fondo della lattina. La nostra opalescenza non è data dal lievito, ma dai cereali e da altre tecniche. Oggi la gente usa le tecniche più bizzarre per rendere la birra torbida, ma noi non usiamo trucchi: sono solo quattro ingredienti. Non ho intenzione di rivelare i dettagli, è fondamentale il momento in cui so utilizzano i luppoli. Il momento, non la quantità. Vedo birrifici usarne quantità doppia rispetto a noi: questo rende la loro birra due volte più buona? No. Stanno sprecando una grande quantità di luppolo? Assolutamente sì".
Nessuna formula segreta, quindi. Nonostante la ricetta della Heady Topper non sia mai stata rivelata, sappiamo che utilizza malti di origine inglese e luppoli americani, soprattutto Simcoe proveniente dallo Yakima Chief Ranch di Washington. Il lievito è un regalo fatto a John da Greg Noonan, che lo aveva reperito in Inghilterra negli anni ’80. La preoccupazioni di Kimmich sono altre: come ridurre al minimo la presenza di ossigeno, fonte di ossidazione? Come ottenere il massimo dai luppoli? E che dire dello slogan “drink from the can” che ha reso The Alchemist famoso? “All’inizio pensavano che non volessimo far vedere alla gente che non era una birra limpida. Ma ha a che vedere con gli aromi e il contatto con l’ossigeno. Se la verso nel bicchiere per qualche minuto avrà un aroma esplosivo ma dopo mezz’ora sarà una merda. La carbonazione, gli olii essenziali dei luppoli saranno svaniti; a me piace godermi la birra con calma. Se la lascio nella lattina, sarà ancora esplosiva”.
Dopo tutte queste parole, è il momento di bere… versandola nel bicchiere! Dan Blakeslee, vecchio amico di John, è l’autore di tutte le grafiche di The Alchemist. La Heady Topper è piuttosto velata ma non è neppure lontanamente paragonabile alla maggior parte delle torbide New England IPA. Il suo colore che oscilla tra l’arancio e il dorato è luminoso, la schiuma è abbastanza compatta ed ha un’ottima persistenza. E’ bella, insomma. Da quanto ne so questa lattina ha all’incirca un mese di vita e l’aroma è pungente e pulito, anche se la freschezza non sembra essere ottimale. C’è un bell’equilibrio tra dank, pompelmo e arancia, frutta tropicale, soprattutto ananas. L’intensità non è però esattamente esplosiva. La sensazione palatale è invece davvero sorprendente: è una Double IPA (8%) leggera e setosa, quasi impalpabile, una carezza per il palato. Il gusto è ben bilanciato tra tutte le sue componenti: pane, qualche lievissimo accenno biscottato, frutta tropicale (ananas e mango), accenni di agrumi e un bel finale amaro, dank e resinoso, piuttosto intenso e potente. E’ solo qui che l’alcool fa sentire la sua presenza: una grande secchezza contribuisce poi in maniera determinante ad assicurare una grande facilità di bevuta.
Livello indubbiamente alto per questa lattina di Heady Topper che tuttavia mi sembra mostrare già qualche cedimento di freschezza dopo solo un mese di vita. John Kimmich vorrebbe che fosse tenuta sempre al freddo e giura di saper distinguere quelle lattine che hanno passato del tempo fuori dal frigo. Indubbiamente sono birre delicate che non dovrebbero viaggiare: per chi non è ancora riuscito ad andare alla fonte, le lattine che arrivano ogni tanto anche in Europa sono comunque un accettabile compromesso per soddisfare la curiosità. Per quel che riguarda l’hype, è bene ricordare che è fomentato da dinamiche fuori controllo generate da vari fattori. In questo caso mi trovo d’accordo con il birraio Kimmich che vuol mantenere un basso profilo: è un’ottima IPA, pulita e bilanciata, ma come lei ce ne sono tante altre: con la riserva di poterla riprovare un giorno direttamente alla fonte.
Formato 47,3 cl., alc. 8%, inlatt. 05/11/2018 (?), prezzo indicativo 10,00 euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.