Malheur, “malefico” in fiammingo: il diavolo fa di nuovo capolino nella birra belga come già accaduto per il nome Duvel ed il marchio Satan della De Block Brouwerij, giusto per citarne due.
La famiglia De Landtsheer porta avanti una tradizione brassicola iniziata all’inizio del diciannovesimo secolo quando Balthazar De Landtsheer inaugurò a Baasrode il birrificio De Halve Maan e suo nipote, qualche tempo più tardi, il birrificio De Zon a Buggenhout. La seconda guerra mondiale mise fine alla produzione e la famiglia scelse di dedicarsi soprattutto all’importazione e alla distribuzione di bevande, con un occhio di riguardo alla Pilsner Urquell e Westmalle, commissionando di tanto in tanto qualche birra ad alcuni terzisti.
Nel 1991 alla scomparsa di Adolf De Landtsheer il figlio Emmanuel “Manu” si sente in dovere di riprendere le attività sospese quasi cinquant’anni prima e coronare un sogno a lungo discusso col padre: nell’agosto del 1997 nasce la Malheur Brouwerij ma è a partire dal 2002 che le cose si fanno più interessanti.
Quasi contemporaneamente Malheur e un altro birrificio di Buggenhout, la Brouwerij Bosteels, lanciano sul mercato quelle che non possono essere chiamate “birre champagne” (chiedete a Poretti perché la “10 luppoli Birra Champagne” sia poi diventata “10 Luppoli Le Bollicine”) e che Michael Jackson incasellò sotto l’etichetta di “Bieres Brut”. Il beer-hunter inglese si trovò involontariamente al centro della disputa ancora irrisolta tra i due birrifici – che a quanto pare non si amavano molto – sul chi avesse avuto per primo l’idea.
Thomas De Moor, attuale birraio di Malheur, ricorda una visita di Michael Jackson con alcuni amici americani; alla domanda su eventuali nuovi progetti in cantiere, Manu De Landtsheer rispose: “mi piacerebbe fare una birra utilizzando il Méthode Champenoise, ma non ho nessun potenziale cliente per questo prodotto”. Uno degli americani presenti si offrì subito per acquistare tutto il primo lotto produttivo. La comitiva si spostò poi in visita al vicino birrificio Bosteels dove l’aneddoto sulla birra champagne venne raccontato, l’idea “copiata” e messa in pratica con la realizzazione della “ DeuS - Brut des Flandres”. Ma Antoine Bosteels sostiene invece d’aver avuto l'idea per primo, ispirato da un pranzo con un parente della moglie che di lavoro faceva l’importatore di champagne.
Torniamo da Malheur: Manu De Landtsheer assieme al birraio di quel tempo, Luc Verhaegen, iniziò a visitare alcuni produttori di champagne per studiare i metodi produttivi, acquisire macchinari ed il lievito dall’Institut Oenologique d’Epernay; nel 2002 debutta la Malheur Bière Brut, ovvero la Malheur 10 “sottoposta” al Méthode Champenoise con remuage, degorgement ed aggiunta del liqueur d'expedition. L’avevo già descritto parlando de L’Equilibrista di Birra del Borgo.
Sebbene il birrificio non abbia mai utilizzato il termine “champagne” né in etichetta né in nessuna comunicazione pubblicitaria, la lobby dei produttori francesi non fu molto contenta che invece la stampa continuasse a parlare di “birra champagne” ed intimò a De Landtsheer di evitare l’utilizzo di qualsiasi termine che potesse in qualche modo ricondurre allo champagne. La discussione per vie legali durò cinque anni, alla fine dei quali a Malheur fu concesso il permesso di utilizzare solo l'aggettivo “Brut”: impossibilitato a citare il Méthode Champenoise, il birrificio parla oggi di “méthode originale”.
Alla Bière Brut fece seguito nel 2003 la Dark Brut, evoluzione della Malheur 12, mentre nel 2005 arrivò la Cuvée Royale (su base Malheur 8) per festeggiare i 175 anni del Belgio; l’ultima nata (2012) fu la Extra Brut che dovrebbe essere solo una versione “dry hopping” della Bière Brut. Nell’attesa di conoscere se sia stato Malheur o Bosteels il padre della "birra champagne", si può affermare con certezza che la prima Bière Brut scura sia senz’altro quella di Manu De Landtsheer; come detto il “méthode originale” viene qui applicato alla Malheur 12, ma c’è anche un passaggio di qualche mese in botti nuove di quercia che arrivano dagli Stati Uniti; la Dark Brut debutta proprio in quel conveniente ma con il nome Black Chocolate, anche se la ricetta non prevede l’utilizzo di cacao.
La birra.
Riempie il bicchiere con uno splendido liquido color mogano rossastro, sormontato da un effervescente cappello di cremosa schiuma beige un po' grossolana e non molto persistente. L'aroma, molto pulito, regala una bella complessità fatta di prugna e uvetta, spezie, frutti di bosco, caramello, waffel e biscotto, frutta secca, una spolverata di tostato, di vaniglia e di legno derivanti dal passaggio in botte. 12% il contenuto alcolico dichiarato ma siamo in Belgio, non c'è motivo di preoccuparsi; loro sanno quasi sempre come nasconderlo e renderlo molto "digeribile". E la Dark Brut di Malheur non fa eccezione: corpo medio-pieno, mouthfeel liquoroso, le bollicine garantiscono un ingresso in bocca molto vivace ma poi si placano affinché la bevuta continui più morbida. Il gusto rimane coerente con i profumi andando a comporre una birra ricca di caramello e biscotto, uvetta e prugna, vaniglia, cioccolato amaro e liquirizia ad affiancare le suggestioni di vino liquoroso; la carbonazione aiuta a bilanciare il dolce, ma è soprattutto grazie alla chiusura secca e tannica che avviene il miracolo dell'equilibrio. C'è una punta amara nel cui piccolo spazio riescono a convivere cioccolato, caffè e quelle lievi sensazioni di frutta secca e tostato che sono forse opera del lievito da Champagne; finisce calda, lunga e ricca di frutta sotto spirito. Il biglietto è abbastanza caro (in Italia siamo nei dintorni dei 20 Euro a bottiglia) ma lo spettacolo è di grande pulizia ed eleganza; il livello è davvero molto alto, e almeno una volta va provata.
Formato: 75 cl., alc. 12%, scad. 01/11/2016, 12.70 Euro (drink store, Belgio).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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