Sierra Nevada è un birrificio che non ha certo bisogno di presentazione, e anche la loro Porter è una birra molto diffusa e disponibile praticamente in tutto il mondo. Non ci era ad ogni modo ancora capitato di assaggiarla, e così cogliamo l’occasione per colmare questa “lacuna” e bere questa porter la cui ricetta prevede malti Two-row Pale, Munich, Chocolate e Caramel; il luppolo amaricante e’ il Goldings (non è specificato quale varietà), mentre per l’aroma c’è il Willamette. Aspetto sontuoso, color marrone scuro con brillanti riflessi rosso rubino; la schiuma, molto persistente, è beige, fine e cremosa. Il naso “apre” con netti sentori di pane nero, con un’interessante ed insolita componente aggrumata (leggero pompelmo) in sottofondo; troviamo anche liquirizia, tostature e cioccolato amaro. L’aroma è molto pulito ma non brilla né per intensità che per vitalità (freschezza). Molto meglio in bocca, dove c’è grande pulizia e soprattutto un ottimo equilibrio tra toffee, tostature, caffè e leggero cioccolato amaro. Ottime anche le sensazioni palatali: birra morbida, oleosa, dal corpo medio e dalla carbonazione moderata. Nel finale, oltre alle attese tostature, c’è anche una lieve nota vegetale, a tratti leggermente resinosa. Bottiglia penalizzata da un aroma poco vitale, si riscatta in bocca regalando una facile ed appagante bevuta che però manca un po’ di freschezza; sarebbe da riprovare in condizioni migliori. Formato: 35.5 cl., alc. 5.6%, IBU 32, lotto 20881 17:54, scad. 28/03/2013, prezzo 3.00 Euro.
lunedì 29 ottobre 2012
domenica 28 ottobre 2012
Brigand Belgian Ale
Dalla sua fondazione, nella prima metà del 1800, la Brouwerij Van Honsebrouck è ancora nelle mani dell'omonima famiglia fondatrice, anche se è solo dal 1950, con l'arrivo di Luc Van Honsebrouck, che il birrificio assume il nome attuale. Un cambio al timone che si rivela fondamentale per il successo e per il futuro del birrificio: Luc decide di terminare la produzione di anonime lager per dedicarsi al lambic ed al kriek (a marchio St. Louis) fino a diventare, nel 1970, il secondo maggior produttore belga di geuze. Nel 1986 gli affari vanno così bene che la famiglia può permettersi lo sfizio di acquistare il castello della cittadina natia, Ingelmunster; sebbene l'edificio attuale risalga al 1700, nello stesso sito esisteva prima un'abbazia e poi, a partire dal 1400, un castello con annesso birrificio. Tre anni dopo viene lanciata sul mercato una nuova gamma di birre (Kasteel) quasi a celebrare l'acquisizione dell'imponente immobile, le cui cantine vengono ancora usate per la maturazione dei fusti: della Kasteel Tripel ne abbiamo parlato in questa occasione. Nel 2009 Xavier Van Honsebrouck prende le redini del birrificio, inaugurando la quinta generazioni di eredi del fondatore Amandus. E' invece nata nel 1980 la Brigand, lanciata per venire incontro alla crescente domanda del mercato per birre chiare e dalla forte gradazione alcolica. L'etichetta, rinnovata nel corso degli anni, non è certamente un bel biglietto da visita e fa un po' rimpiangere quella degli esordi; meglio allora versarla nel bicchiere, nel quale si presenta di color arancio pallido, leggermente velato. La schiuma è appena "sporca", fine, cremosa ed ha buona persistenza. La ricetta dovrebbe prevedere malti Pilsener e Pale Ale, frumento, luppolo Saaz (anche in dry-hopping). Al naso troviamo leggerissimi sentori floreali, frutta sotto spirito, spezie da lievito (soprattutto pepe); aroma pulito ma abbastanza "stanco" e privo di vitalità. Decisamente meglio in bocca, dove arriva con un corpo medio ed una carbonazione vivace; il gusto è dolce di biscotto, zucchero di canna, albicocca sotto spirito. Una buona secchezza porta il necessario equilibrio prima del finale abboccato, caldo, etilico, ricco di frutta sotto spirito. Parte in sordina, con un aroma spento e poco entusiasmante, ma questa Brigand si riscatta con un gusto semplice ma molto pulito e dalla buona intensità. Alcool (9%) che si tiene molto ben nascosto sino alla fine, per apparire soltanto a chiusura del percorso, regalando un bel finale caldo, morbido ed appagante. Bottiglia non in forma ottimale, che forse ha un po' patito le pene della grande distribuzione; sarebbe da riprovare, ma anche così è una discreta bevuta. Formato: 33 cl., alc. 9%, lotto BRBR0324B08:54, scad. 03/2013, prezzo 2.29 Euro.
giovedì 25 ottobre 2012
Bad Attitude Hipster
Nasce nel Settembre del 2010 la nuova birra del birrificio svizzero Bad Attitude; si chiama Hipster e rappresenta “la prima volta” in bottiglia di un birrificio che sino ad allora aveva scelto esclusivamente di distribuire i propri prodotti in fusto e lattina. Per questa "piccola" rivoluzione viene scelto un formato di bottiglia singolare, molto leggero e quindi ecologico, che si ispira alla “stubby”, la bottiglia nazionale canadese usata tra il1 1961 ed il 1984, in un periodo dove la concorrenza dei prodotti americani era relativamente debole e la legislazione canadese permetteva ai birrifici canadesi di vendere le proprie bitte solamente all’interno della propria provincia. Lo scenario cambiò profondamente negli anni ’80, con la caduta del divieto di vendita “interprovinciale” e, soprattutto, con la conquista del mercato canadese da parte della Miller, venduta nella classica bottiglia dal collo “lungo” alla quale siamo oggi abituati. Ben presto anche i birrifici canadesi adottarono questo formato e la stubby andò in pensione. Torniamo alla Hipster, che Bad Attitude definisce un “pilsner wine” ovvero, provando ad interpretare, non una “normale” imperial pilsner perché la ricetta prevede l’utilizzo di spezie (coriandolo) che sono ovviamente escluse dallo stile di riferimento. Si tratta anche della prima birra biologica di Bad Attitude, visto che malto d’orzo, zucchero, coriandolo e luppoli (Perle e Mittelfrucht) provengono da agricoltura biologica. All’aspetto è di color oro carico, quasi limpido; la schiuma, bianca, fine e cremosa, è molto persistente. L’aroma, molto forte, presenta sentori floreali (camomilla) ma un dominio quasi assoluto di miele d’acacia; la speziatura (coriandolo) è molto leggera. C’è buona pulizia. Il gusto si rivela essere molto meno intenso (e meno pulito) dell’aroma; note di pane, ritorno di miele, con un amaro erbaceo a bilanciare ed a portare in dote un bel taglio finale secco. Il retrogusto, amaro erbaceo, è di buona intensità. A dispetto di una gradazione alcolica abbastanza sostenuta (7.6%), il corpo di questa Hipster è quasi leggero; la carbonazione abbastanza vivace e la consistenza quasi watery la rendono molto facile da bere. Ci sfugge però il significato di “pilsner wine"; si tratta indubbiamente di una versione “sostenuta” di una pilsner, ma l’alcool è così ben nascosto da far pensare quasi ad una “strong lager” che ad una qualsiasi forma di vino. Questa Hipster parte bene, con un aroma molto ricco, quasi opulento, carico di miele (anche se manca l’eleganza delle migliori pils), mentre si perde per strada in bocca scivolando un po’ nell’anonimato con un gusto semplice ma privo di quella meticolosa pulizia che un’interpretazione di una pils dovrebbe comunque avere. Non male, ma neppure da ricordare, con la scusante di una bottiglia vicina alla data di scadenza. Formato: 33 cl., alc. 7.62%, IBU 27.5, scad. 29/11/2012, prezzo 2.50 Euro.
mercoledì 24 ottobre 2012
La Piazza la Surrealista
Profondo rinnovamento nell'offerta brassicola del Birrificio La Piazza dei Mestieri di Torino. Il nostro unico assaggio di oltre due anni fa non ci aveva particolarmente entusiasmati e così, complice una più capillare diffusione ad un prezzo abbastanza competitivo presso la grande distribuzione, abbiamo colto l'occasione per un ri-assaggio. Tutte ad alta fermentazione tranne una doppelbock le birre attualmente in produzione (Koelsch, Bitter, American Pale Ale); mentre i nomi delle precedenti produzioni erano ispirati dai pittori (Renoir, Manet, Chagall, Klimt), le nuove birre si riferiscono invece alle differenti correnti artistiche: Romantica, Dadaista, Rinascimentale, Realista. La Surrealista è invece il nome affibbiato all'American Pale Ale, di colore rame/ambrato, velato; abbastanza generosa la schiuma, leggermente "sporca", fine, cremosa, dalla buona persistenza. Aroma davvero ottimo; pulito, fresco e "pungente": su tutto domina il pompelmo, ma si possono apprezzare anche sfumature più delicate di mandarino, frutta tropicale (ananas, mango) e pesca. Anche in bocca c'è un netto dominio del pompelmo, a donare un amaro di discreta intensità e dalla buona pulizia; la base di malto caramello è appena percepibile. Birra molto secca, lascia il palato sempre pulito dopo ogni sorso, con un'unica variazione al gusto è qualche nota di lime che movimenta il retrogusto di pompelmo. Corpo leggero, corretta carbonazione, consistenza watery per garantire una grande facilità di bevuta. L'etichetta riporta la scritta "ricorda una APA", ma questa Surrealista tende più a sconfinare nel territorio dell'amaro tipico delle India Pale Ale. Tralasciando le categorie stilistiche, si tratta di un'ottima birra, elegante e pulita sia all'aroma che al gusto; semplice, con pochi elementi ma al posto giusto, gustosa, da bere in grande quantità. Sopravvissuta in modo ottimale anche agli scaffali della grande distribuzione, acquisto senz'altro consigliato. Formato: 75 cl., alc. 5.5%, IBU 30, lotto 72/12, scad. 22/05/2013, prezzo 5.14 Euro.
martedì 23 ottobre 2012
BraufactuM Roog
Ultima BraufactuM rimasta in frigorifero, vi rimandiamo a questo nostro post di quasi un anno fa se volete avere qualche notizia più approfondita su questo interessante progetto tedesco. Concludiamo con una rauchweizen, chiamata Roog, la cui ricetta prevede un bel mix di malti di frumento e di orzo (affumicato, Vienna e Caramalt), luppolo Hercules. Davvero molto invitante l’aspetto: ambrato carico, con sfumature rossastre, opaco; schiuma ocra, fine, cremosa, molto ampia e molto persistente. Naso molto pronunciato, elegante e pulito: netta l’affumicatura, ma ci sono anche sentori di banana matura, pera e vaniglia, scorza d’arancia. Le ottime premesse vengono un po’ deluse in bocca, dove cala il livello di pulizia: è la banana a dominare, con note di toffee e frutta secca; c’è una leggera acidità che rinfresca ma non pulisce adeguatamente il palato come dovrebbe (leggero diacetile/burro). Finisce abbastanza corta con una leggera nota amaricante. Birra molto leggera e facile da bere, compiuta a metà: ottimo l’aroma, solo discreto il gusto. Considerato il prezzo molto poco tedesco di tutta la raffinata (?) gamma BraufactuM, conviene assolutamente orientarsi verso una molto più “proletaria” Aecht Schlenkerla Rauchbier Weizen. Formato: 33 cl., alc. 6.6%, scad. 31/03/2013, prezzo 5.24 Euro.
lunedì 22 ottobre 2012
Birrificio Maiella Bucefalo
Oggi ospitiamo per la prima volta su queste pagine il Birrificio Maiella, fondato nel 2008 da Massimiliano Di Prinzio a Casola, in provincia di Chieti. Ex homebrewer, con l’aiuto della moglie Sonia si decide a trasformare il suo hobby in lavoro, aprendo un birrificio che mantiene forte il legame il proprio territorio (il monte Maiella) a partire dall'acqua (sorgenti Del Verde) e dall'utilizzo di erbe, fiori secchi, miele di produzione locale; attualmente sono disponibili sei birre, tutte ad alta fermentazione. Bucefalo è una strong ale (belga), il cui nome si ispira all'omonimo, imponente, indomabile e turbolento stallone che Alessando Magno – pare - acquistò da Filonico di Tessaglia. Alessandro fu l'unico in grado di domare il cavallo e di cavalcarlo; Bucefalo, in segno di rispetto, s'inginocchiò e da allora si lasciò montare solamente dal suo padrone, accompagnandolo per un ventennio in battaglia. L'animale morì proprio durante un combattimento, tra i Macedoni di Alesandro Magno e gli indiani di Poro; nel luogo della sua sepoltura fu fondata la città di Bucefala. Splendido l'aspetto: ebano scuro, con riflessi rossastri; la schiuma è poco generosa, beige, e svanisce alquanto rapidamente. Aroma molto forte, ricco di frutta "scura" (prugne, uvetta, mirtillo), pane nero, melassa, liquirizia, con leggeri sentori di alcool; buona la pulizia. In bocca il percorso prosegue senza grosse variazioni: molta frutta sotto spirito, prugne ed uva passa in una birra che ad oltre due anni dall'imbottigliamento ha assunto delle interessanti caratteristiche vinose. C'è un bell'amaro di tostatura a bilanciare, con un finale caldo, etilico e leggermente tannico. A dispetto del colore questa Bucefalo regala per la maggior parte delle note fruttate anziché tostate, con una discreta complessità ed una buona pulizia generale. Secca ed intensa, è un'ottima compagna sia da "dopo cena" che in abbinamento a piatti molto sostanziosi e saporiti (il birrificio consiglia giustamente cinghiale e carni rosse alla brace, formaggi stagionati, pasticceria a base di cioccolato). L'alcool è importante (9%) ma è molto ben nascosto e la bevibilità non è mai compromessa; le gioverebbe forse un pelino di corpo in più, ed una maggiore viscosità le donerebbe quel necessario livello di morbidezza che regala grandi soddisfazioni a chi sceglie di berla in solitudine, magari proprio davanti al camino. Birra ben riuscita, senz'altro consigliata. Formato: 75 cl., alc. 9%, lotto BU070811, scad. 01/03/2013, prezzo 10.15 Euro.
domenica 21 ottobre 2012
Black Isle Organic Porter
Si trova nella regione delle Highland, in Scozia, la Black Isle Brewery, fondata nel 1998 da David Gladwin; un birrificio che già nel proprio logo rende chiara la propria missione, ovvero produrre birra utilizzando esclusivamente materie prime che provengono da coltivazioni biologiche. Con una crescita costante della produzione (50% all'anno), il birrificio è stato "costretto" nel 2009 ad ampliare i propri spazi ed inaugurare un nuovo impianto più capiente, passando da 5 a 30 barili (sala cottura) e una sala di fermentazione da 210 barili. Da inizio 2012 le birre sono importate e distribuite in Italia da Ales & Co,. ed abbiamo così avuto l'occasione di assaggiare la loro Organic Porter; nel bicchiere è di colore marrone scurissimo, la schiuma beige è fine, cremosa ed ha una buona persistenza. Al naso c'è pulizia ed una buona intensità: pane nero, liquirizia, una discreta mineralità, più in secondo piano cacao e caffè, leggere note di affumicatura. Gli stessi elementi ritornano anche in bocca; è una porter dal modesto contenuto alcolico (4.6 %) che si lascia bere molto facilmente senza sacrificare l'intensità del gusto: ci sono tostature, note di caffè, liquirizia e leggere note di cenere. Secco e discretamente persistente il finale, amaro di malti torrefatti e di caffè. Birra pulita anche in bocca, dal corpo leggero e dalla carbonazione contenuta; ben fatta e piacevole, corretta, soddisfacente. Formato: 50 cl., alc. 4.6%, lotto 122, scad. 01/2013, prezzo 5.20 Euro.
sabato 20 ottobre 2012
Birrificio Itineris Cassia
Il Birrificio Itineris viene fondato nell'autunno del 2010; il nome non è casuale, visto che il percorso fatto dal birraio e proprietario Claudio Conti si è sviluppato attraversando quasi tutta la penisola italiana. Laziale di nascita, a metà degli anni duemila Claudio incontra la birra "di qualità" tra Lombardia (Birrificio Lambrate) e Piemonte (Birrificio San Paolo). Maturata la giusta dose di esperienza, nel 2010 ritorna nella regione natia per dar vita al suo birrificio, a Civita Castellana (Viterbo), nella Tuscia. Con l'aiuto del padre, installa gli impianti in una vecchia fabbrica di ceramiche ed inizia un nuovo viaggio, con l'inaugurazione ufficiale che avviene a settembre 2011; tutte le birre portano i nomi delle strade consolari romane, quasi a testimoniare il viaggio da lui percorso. Cassia è il nome scelto per questa American Pale Ale, dedicata all'omonima arteria che attraversa la Tuscia collegando Roma con Firenze. Di colore ambrato, quasi limpido, ha un cappello di schiuma leggermente ocra, abbastanza fine, dalla media persistenza. All'aroma non c'è l'attesa dominanza di agrumi, come vorrebbe lo stile, ma note erbacee e terrose e di radice, che mettono il pompelmo (molto) in secondo piano; svanita la schiuma emergono sentori medicinali e, più leggeri, di solvente. Purtroppo al gusto le cose non migliorano; la partenza è accettabile, con note di biscotto e leggero caramello, ma appena è il turno dell'amaro è un ritorno sgradevole di medicinale che c'impedisce di terminare il bicchiere. Bottiglia (molto) sfortunata, per quella che - crediamo - sia l'ultima nata in casa Itineris, visto che non è attualmente presente sul sito del birrificio. Al prossimo riassaggio, se ce ne sarà l'occasione. Formato: 33 cl., alc. 5.5%, lotto 22, scad. 04/2013, prezzo 4.00 Euro.
venerdì 19 ottobre 2012
Schneider Weisse Tap X Mein Nelson Sauvin
Weissbierbrauerei G. Schneider & Sohn non è solamente il birrificio di Monaco (e dintorni, visto che il sito produttivo è oggi a Kelheim) che preferiamo ma è anche l’unico, tra quelli “storici”, ad avere introdotto qualche innovazione nelle sue ricette. Dopo la collaborazione con la Brooklyn Brewery, sfociata nella “Tap 5 Meine Hopfen-Weisse” (anche detta Schneider & Brooklyner Hopfen-Weisse) e la ” Tap 4 Mein Grünes” (una doppelbock con cascade), nel 2011 è stata lanciata una nuova serie di birre, prodotte in numero limitato, chiamate “Tap X”. Ne fanno parte la Tap X Mein Nelson Sauvin (brassata con l’omonimo luppolo neozelandese), la Tap X Mein Eisbock Barrique (l’Aventinus Eisbock invecchiata in botti di Pinot Noir) e la Tap X Mein Cuvée Barrique (un blend di Aventinus e Tap X Mein Eisbock Barrique). La Tap X Mein Nelson Sauvin viene prodotta per la prima volta a settembre 2011 per festeggiare il venticinquesimo anniversario di un clienti del birrificio, ovvero la catena degli ABT Cafès; la ricetta prevede malto d’orzo (40%), di frumento (60%), un mix di luppoli tedeschi dall'Hallertau e di Nelson Sauvin. Per la rifermentazione in bottiglia il birraio Hans-Peter Drexler ha usato per la prima volta dal 1872 un ceppo di lievito belga, non di proprietà del birrificio. Il primo lotto del 2011, destinato principalmente all’esportazione, ebbe un grande successo in patria, ben oltre le aspettative del birrificio, spingendoli a replicare la ricetta lo scorso settembre 2012. Il colore è arancio pallido, torbido, con un grande cappello di schiuma bianca, fine e cremosa, dalla buona persistenza. Al naso spiccano forti sentori di banana, fenoli (chiodi di garofano), mela verde, spezie da lievito; onestamente ci aspettavamo un profilo aromatico molto più caratterizzato dal Nelson Sauvin, ed invece per trovarne traccia bisogna andare un po' in profondità , scovando dei sentori un po' aspri di uva che portano un po' di contrasto ad un naso prevalentemente dolce. In bocca si parte con un gusto dolce che richiama l'aroma: banana, frumento, polpa d'arancio; netto miglioramento nella seconda parte della bevuta, dove ti aspetteresti un finale classico da "weizenbock" (banana matura e caramello), dolce, ed invece emerge una bella asprezza vinosa, che conduce ad un finale amaro, corto ma di buona intensità, dove emerge una nota di pompelmo. Si tratta d'una interessante variazione dello stile, anche se onestamente ci aspettavamo una presenza molto più massiccia del luppolo neozelandese, soprattutto all'aroma; il suo uso è discreto e timido, con interventi mirati a portare qualche variazione ed un po' di complessità ad uno stile (weizenbock) classico. Birra che parte un po' in sordina, per sollevarsi con il finale più amaro che ricordiamo di aver mai trovato in una weizenbock; poco evidente anche l'apporto dei lieviti belgi usati per la rifermentazione in bottiglia. Corpo medio, carbonazione corretta, consistenza oleosa, alcool magistralmente nascosto, ottima pulizia; il bicchiere finisce in fretta. Il prezzo è molto poco tedesco (anche in madrepatria); la riberremmo molto volentieri, ma la differenza con una classica Aventinus è enorme e non invoglia senz'altro il riacquisto. Formato: 75 cl., alc. 7.3%, bottiglia 8631, scad. 01/08/2014, prezzo 12.90 Euro.
giovedì 18 ottobre 2012
Oskar Blues Gubna Imperial IPA
Ospitiamo oggi un altro attore storico della craft beer americana; si tratta dell’Oskar Blues Grill & Brew, un brewpub aperto nel 1997 a Lyons, in Colorado da Dale Katechis e sua moglie Christi. L’evento che ci interessa avviene nel 2002, quando alla Oskar Blues decidono di rendere disponibile le proprie birre anche al di fuori del brewpub; abbastanza sorprendentemente, scelgono di distribuire i prodotto non in bottiglia ma in lattina, un formato che i consumatori normalmente abbinano a prodotti “leggeri” e di mediocre qualità. I numeri hanno dato loro ragione. In pochi anni, la loro Dale’s Pale Ale, leggendaria prima craft beer americana in lattina, è diventata la Pale Ale più venduta in tutto il Colorado ed il “six pack” più venduto in tutti glI Stati Uniti, “contagiando” oltre centocinquanta birrifici “artigianali” che oggi offrono craft beer in lattina. Ma alla Oskar Blues l’innovazione è sempre di casa: è di qualche settimana fa la notizia che da Gennaio 2013 le lattine avranno il formato da 568 ml (una pinta reale, 19.2 once) e non più quello attuale di 355 ml (12 once). Nel frattempo al brewpub originale di Lyons si sono affiancati gli impianti produttivi di Longmont (Oskar Blues Brewery) per riuscire a soddisfare tutta la domanda, passata dai 700 barili del 2002 ai 59.000 del 2011. E nonostante la birra di qualità in lattina sia stata da tempo sdoganata, ci sentiamo davvero un po’ “strani” ad avere in mano un “mostro” di double IPA dal 10% di alcool e 100 IBU in lattina. La Gubna Imperial IPA, nasce da una ricetta semplice, con solo tre malti (Dark Munich, North American 2-row e malto di segale) e l’impiego di un solo luppolo, il Summit. E' la prima imperial IPA al mondo disponibile in lattina, ed ottiene un punteggio di 98 su Ratebeer e di 83 su Beer Advocate. E’ di colore arancio ramato, velato, e forma un bel cappello di schiuma fine e cremosa, molto persistente. L’aroma, pulitissimo ed elegante, è completamente dominato dal pompelmo, con qualche sentore di aghi di pino e frutta tropicale in secondo piano; chiudendo gli occhi sembra davvero di annusare una spremuta di pompelmo fresca, appena fatta. Pulito ed elegante. Non c’è molta varietà neppure in bocca; dopo un leggero imbocco di biscotto, il pompelmo prende il sopravvento, affiancato da un nota etilica ben percepibile ma che non costituisce un grosso ostacolo alla bevibilità. Il finale spinge l’accelleratore sull'amaro, ed alla scorza di pompelmo s’affiancano pungenti (e pepate) note resinose, che sconfinano in un lungo retrogusto amaro, molto intenso, con il calore dell’alcool che riscalda sempre di più man mano che la temperatura nel bicchiere si alza. Imperial IPA ben fatta, mostra solidità pur avendo un corpo “solamente” medio; tira fuori i muscoli solamente nel finale, mantenendo per buona parte del suo percorso in bocca una buona morbidezza con una carbonazione moderata. Molto convincente al naso, con uno splendido aroma, fresco e fortissimo, scende un po’ di livello al gusto dove non ritroviamo la stessa pulizia ed eleganza. Rimane comunque un’ottima bevuta. Formato: 35,5 cl., alc. 10%, IBU 100, lotto 23/07/2012, prezzo 2.99 Euro ($ 3.59)
mercoledì 17 ottobre 2012
Montegioco Open Mind
Open Mind è un'altra produzione Montegioco strettamente legata al territorio dove si trova il birrificio; vede infatti l'impiego del 20% di mosto Barbera dell'azienda La Colombera di Tortona. Dopo le pesche di Volpedo, utilizzate per la Quarta Runa, Riccardo Franzosi elabora una ricetta con uno dei vitigni più caratteristici del Piemonte; la bottiglia in questione ha "attinto" alla vendemmia 2010. All'aspetto è di colore è arancio, velato; la schiuma che si forma è molto modesta, fine, cremosa e poco persistente. Al naso, molto pronunciato e pulito, emergono subito note aspre di uva; in sottofondo troviamo sentori floreali, arancio, frutta secca ed una delicata speziatura da lievito. In bocca c'è una buona corrispondenza con l'aroma: subito vinosa, leggermente e gradevolmente acidula, ha note di mela verde e uva fresca, con un corpo molto leggero ed una grande vivacità donata dalla corretta effervescenza. Molto pulita e facilissima da bere, è caratterizzata da una secchezza esemplare che ripulisce il palato ad ogni sorso. Finisce leggermente aspra di uva, con in secondo piano note di frutta secca e di nocciolo di pesca. "Birra di confine", recita l'etichetta, ed effettivamente questa Open Mind sembra collocarsi proprio sul punto d'incontro (o di scontro) tra vino e birra, mostrando grande duttilità ed ottime potenzialità per abbinamenti gastronomici Molto rinfrescante e "sbarazzina" quando fresca, assume un carattere più rotondo man mano che la temperatura si alza, enfatizzando la componente vinosa e risultando anche un'ottima bevuta da dopo cena. Matrimonio molto ben riuscito, con la consapevolezza di voler fare quello che non si era rischiato in quest'altro incontro tra vino e birra che abbiamo assaggiato qualche tempo fa. Formato: 75 cl., alc. 7.5%, lotto 02/11, scad. 31/03/2013, prezzo 11.50 Euro.
martedì 16 ottobre 2012
Trois Dames Bise Noire
Si chiama "bacio nero" la produzione invernale del birrificio svizzero Trois Dames, del quale trovate informazioni più approfondite in questo post. Non abbiamo trovato molte notizie su questa birra, ma gli ingredienti riportati in etichetta sono quelli basici: acqua, luppolo, malto d’orzo e lieviti, senza nessuna spezia aggiunta. Si presenta nel bicchiere di colore ebano scurissimo, praticamente nero; la schiuma è cremosa, non troppo generosa ma dalla buona persistenza, di colore beige. L’aroma, discretamente pulito, offre tostature, vaniglia, leggero cacao e sentori terrosi. In bocca sorprende per una leggerezza molto marcata, ed una consistenza marcatamente watery che la rende molto facile da bere nonostante l’alcool dichiarato in etichetta (7.2%); il rovescio della medaglia è una scarsa intensità del gusto, un dettaglio che ci sembra “importante” se relativo ad una birra invernale, una “winter warmer” che dovrebbe scaldare nei mesi più freddi dell’inverno (svizzero). Oltre all’intensità, in bocca manca anche una buona pulizia: l’imbocco è di malto tostato con qualche nota di caffè, seguito da un passaggio acquoso (a vuoto) prima del finale in cui emerge qualche nota di mirtillo. Il retrogusto è amaro, terroso e torrefatto. Birra slegata, non troppo pulita, poco appagante e, soprattutto, molto poco invernale. Di quelle assaggiate nella produzione Trois Dame, senz’altro quella più deludente. Formato: 33 cl., alc. 7.2%, scad. 12/2012, prezzo 4.21 Euro.
lunedì 15 ottobre 2012
Birrificio degli Archi BaccanAle
Seconda degustazione del Birrificio degli Archi; dopo la Ossessa è la volta della BaccanAle, prodotta con miele di castagno. Il colore è davvero splendido, ambrato con riflessi ramati, praticamente limpido; non forma molta schiuma, e quel poco svanisce abbastanza in fretta. La caratterizzazione del miele è evidente al naso, dove domina, con sentori netti e molto puliti; in sottofondo caramello, cereali, qualche sentore erbaceo. Le premesse sembrano davvero buone ma purtroppo in bocca c'è un netto calo d'intensità; si parte con note di biscotto, ancora miele, e poi un passaggio avuto, troppo acquoso, prima di giungere al finale amaro, erbaceo, con qualche nota di agrumi (limone) e - leggera ma poco gradevole - di sapone. Birra dal corpo leggero, watery, è molto secca con alcuni passaggi astringenti; man mano che la birra si scalda emerge anche una leggera nota lattica. Nonostante qualche difetto, sostanzialmente c'è una buona pulizia al gusto, ma quello che manca è l'intensità. Formato: 50 cl., alc. 5.4%, lotto 81, scad. 01/05/2013, prezzo 4.60 Euro.
domenica 14 ottobre 2012
Fullers Past Masters Double Stout
Nel dicembre del 2010 la Fuller’s annuncia con il nome Past Masters la riedizione di alcune ricette storiche, recuperate dai mastri birrari John Keeling e Derek Prentice tra i libroni custoditi nell’archivio del birrificio. In questo caso specifico, la Double Stout si rifà ad una ricetta del 4 agosto 1893; i due birrai hanno collaborato con la malteria Simpson’s, fornitrice a quel periodo del malto Plumage Archer, sul quale la ricetta si basava, assieme a malti chocolate e brown. I luppoli sono Fuggles e Goldings, quest’ultimo usato per l’aroma nelle ultime fasi della bollitura ed utilizzato anche in dry hopping per i fusti (casks). Per lo zucchero (fornito dalla Rugus Sugars) ed i lieviti, non più disponibili, i birrai hanno reperito delle alternative che si potessero avvicinare il più possibile a quelle originali. Nel bicchiere è davvero invitante; color ebano scurissimo, praticamente nero, con schiuma beige molto fine e cremosa, molto persistente. Naso complesso e molto pulito, è possibile apprezzare in sequenza frutti di bosco (soprattutto mirtilli), prugne, uvetta, cenere, malti torrefatti, leggera vaniglia e caffè. Davvero ottimo. Le aspettative non sono deluse in bocca, dove questa Double Stout arriva molto morbida, quasi cremosa, dal corpo pieno, scarsamente carbonata. C’è grande intensità e pulizia anche al gusto, dove continua il percorso intrapreso con l’aroma: mirtilli, note di torrefazione, cioccolato come preambolo ad un bel finale amaro, ricco di caffè, di torrefazione e leggermente affumicato. Man mano che la birra si scalda, emerge anche una gradevolissima nota etilica, di frutta sotto spirito (uvetta e prugne) che riscalda e rinfranca. Splendida stout, complessa e pulita, morbida, calda ed avvolgente ma al tempo stesso molto facile da bere. Bottiglia in stato di grazia, birra da comprare assolutamente. Formato: 50 cl., alc. 7.4%, lotto 109, scad. 19/04/2014, prezzo 4.20 Euro.
sabato 13 ottobre 2012
La Trappe Blond
Poco più di un anno fa avevamo descritto l'Abbazia di Onze-Lieve-Vrouw Van Koningshoeven (le cui birre sono commercializzate con il marchio La Trappe) come l'unico birrificio trappista al di fuori del Belgio; oggi non possiamo più definirlo tale, visto che alle "magnifiche" sette trappiste si è aggiunta da qualche mese anche l'austriaca Engelszeller. In attesa di provare qualcosa dell'ottavo birrificio trappista, versiamo nel bicchiere questa Blond di La Trappe, dal colore dorato antico, opaco; non impeccabile la schiuma, grossolana, poco persistente, svanisce abbastanza rapidamente lasciando un leggero "pizzo" nel bicchiere. L'aroma apre con un leggero sentore aspro (abbastanza inatteso) che richiama la banana acerba, subito sopraffatto da altra frutta come pera ed arancio; i lieviti donano una delicata speziatura, leggermente pepata. C'è pulizia, ed una buona intensità. In bocca lo scenario rimane molto fedele al naso; la sensazione palatale è molto gradevole: il corpo è leggero, con una carbonazione perfetta, molto vivace. Anche al gusto troviamo una leggerissima acidità che richiama la banana (acerba), seguita da note di biscotto, pera matura e (ancora) banana matura, leggera speziatura da lievito. Il finale è secco, con un retrogusto appena amaro, dove domina il nocciolo di pesca. Blond corretta, pulita e profumata, caratterizzata come detto da un'inattesa ma percepibile presenza di banana. Facile da bere, dissetante, non ha particolari difetti se non quello di non entusiasmare particolarmente il bevitore. Bottiglia proveniente dalla grande distribuzione. Formato: 75 cl., alc. 6.5%, lotto K29L11, scad. 06/2014, prezzo 5.95 Euro.
venerdì 12 ottobre 2012
Birrificio Dada Hugo
Ritorniamo dopo un po' di tempo a "stappare" una birra del Birrificio Dada, del quale abbiamo già assaggiato diverse produzioni che potete trovare in questi post. Questa volta è il turno della Hugo, una bitter brassata con malti Maris Otter, Crystal e Biscuit; il mix di luppoli prevede Northdown, Fuggle e Willamette. Nel bicchiere si presenta di color ambra/rame; la schiuma che si forma, abbastanza grossolana, è enorme, leggermente "sporca" e molto persistente. Al naso sentori aspri ed astringenti di lemongrass e polpa di pompelmo, di discreta intensità e dalla buona pulizia. Le premesse fanno intuire che abbiamo nel bicchiere una bitter "moderna", abbastanza lontana dai classici esemplari inglesi, con i luppoli e non i malti a guidare le danze. Anche in bocca c'è solo un lieve accenno di biscotto, poi il gusto prende la strada dell'amaro con scorza di pompelmo e lime in abbondanza; molto secca, a tratti leggermente astringente, questa Hugo finisce senza nessuna deviazione, amara di pompelmo e lime. Molto leggera, con una carbonazione media che si mantiene nei limiti dei parametri dello stile nonostante la generosissima schiuma ci avesse fatto temere un'eccesso di "bollicine". C'è una buona intensità di gusto per essere una session beer; quello che ancora un po' manca e la "rifinitura"; una maggiore pulizia in bocca la potrebbe avvicinare ai quei "piccoli capolavori di bitter moderno" un po' ruffiani (nell'accezione positiva del termine) che tanto spopolano nelle classifiche dei beer raters. Tra le prime che ci viene in mente in quella tipologia, l'ottima De Molen Op & Top. Formato: 50 cl., alc. 4%, IBU 30, lotto LH02, scad. 12/2012, prezzo 4.50 Euro.
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english summary:
Brewery: Birrificio Dada, Coreggio (Reggio Emilia), Italy
Style: bitter
A copper colored beer with a huge frothy slightly off-white head. The nose delivers astringent hints of lemon grass and grapefruit, with good intensity. A “modern” bitter which is dominated by hops rather than malts. Taste is hoppy and citrusy, with a bare presence of biscuit malt. Long bitter, citrusy aftertaste with lemongrass. A good session beer with a good intensity and an acceptable level of cleanness. Bottle: 50 cl., 4% ABV, 30 IBUs, price 4.50 Euro.
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english summary:
Brewery: Birrificio Dada, Coreggio (Reggio Emilia), Italy
Style: bitter
A copper colored beer with a huge frothy slightly off-white head. The nose delivers astringent hints of lemon grass and grapefruit, with good intensity. A “modern” bitter which is dominated by hops rather than malts. Taste is hoppy and citrusy, with a bare presence of biscuit malt. Long bitter, citrusy aftertaste with lemongrass. A good session beer with a good intensity and an acceptable level of cleanness. Bottle: 50 cl., 4% ABV, 30 IBUs, price 4.50 Euro.
giovedì 11 ottobre 2012
St Feuillien Blonde
La Brasserie Saint Feuillien viene fondata nel 1873, dalla famiglia Friart, a Le Roeulx; prende il nome da un missionario irlandese, Saint Foillan o Faelan (nato nel 655) che morì decapitato in quella che era una foresta prima della costruzione di Le Roeulx; sul luogo del suo decesso, i suoi discepoli costruirono nel 1125 una cappella che poi divenne l'Abbazia di Premontres, in seguito nota come l'Abbazia di St. Feuillien da Roeulx. L'edificio venne poi distrutto durante i tumulti della Rivoluzione Francese. Il birrificio continuò ad operare sino al 1980, quando venne chiuso; la famiglia Friart continuò comunque ad operare come distributore di bevande e di birra, mentre la produzione di alcune birre continuò presso gli impianti della Du Bocq. Nel 1988 alcuni eredi (Benoit e Dominique Friart) riaprirono il birrificio a nome Brasserie Friart, ricambiandone poi il nome nel 2000. Nel primi anni la produzione si occupò soprattutto di produrre su commissione Heineken il marchio Affligem, continuando invece a realizzare la proprie birre presso la Du Bocq. Solamente negli ultimi anni, a seguito dell'ampliamento degli impianti produttivi, la maggior parte delle birre St. Feuillien sono tornate "a casa". Il birrificio è oggi anche noto per alcune produzioni in bottiglia nei generosi formati da 1.5, 3 ed anche 9 litri! La St Feuillien Blonde è brassata a Le Roeulx ed ha un aspetto sorprendentemente color oro pallido; la schiuma bianca è un po’ grossolana, e svanisce piuttosto rapidamente lasciando tuttavia un pizzo nel bicchiere. Il naso è speziato, con coriandolo in evidenza; in sottofondo sentori di curaçao, e di frutta, soprattutto albicocca ed arancio. Al palato troviamo biscotto, un po’ di burro, una diffusa speziatura (ancora coriandolo) che ben interagisce con la vivace carbonazione; c’è molto dolce di frutta candita, che non riesce però mai ad essere completamente bilanciato dalla secchezza. C’è un po’ di amaro a fine corsa, con note di scorza d’arancio e di curaçao. Alcool, ben nascosto, questa strong ale "mascherata" da blonde è pulita, abbastanza intensa e facile da bere, sebbene sbilanciata un po’ troppo (almeno per noi) sul dolce. Il palato rimane sempre un po’ “appiccicoso, ed una maggiore secchezza l’avrebbe secondo noi resa ancora più scorrevole e godibile. Formato: 75 cl., alc- 7.5%, scadenza 05/03/2013, prezzo 6.11 Euro.
mercoledì 10 ottobre 2012
Manerba Rebuffone
Manerba è un tranquillo paese sulla sponda occidentale del Lago di Garda, una meta turistica particolarmente apprezzata dai turisti tedeschi che scendono soprattutto dalla Baviera per godere del clima mite e degli ottimi prodotti (olio d’oliva e vino) che il territorio offre. Ma i tedeschi sono (soprattutto) grandi bevitori di birra, e così l’idea di aprire un brewpub in loco, con un ampio “biergarten”, tanto caro ai tedeschi, utilizzabile per oltre sei mesi l’anno, è talmente azzeccata da risultare quasi banale. Ma non è stata (solo) questa la motivazione che ha spinto nel 1999 la famiglia Avanzi, già produttrice di olio e di vino, a gettare le fondamenti della Manerba Brewery, una bella struttura (legno e vetro, con impianti a vista) che s’affaccia non sul lago ma sulla strada statale 572 che da Desenzano porta sino a Salò. Fu soprattutto la passione per la birra a spingere Alessandro Avanzi ad investire in un progetto con impianto da 20 ettolitri in un periodo ben lontano dal sospetto “boom” ( o dalla bolla?) odierno della birra artigianale; oggi è il figlio Francesco a gestire il birrificio. Ci era capitato di assaggiare le loro birre molti anni fa, trovandole non particolarmente convincenti; dopo un naturale periodo di assestamento, nel quale si sono alternati diversi birrai, Manerba Brewery sembra aver intrapreso la strada giusta (leggasi qualità e soprattutto costanza produttiva) con l’arrivo del birraio Alfredo Riva, nel curriculum diverse esperienze maturate in Inghilterra e Germania. Viene decisamente migliorata soprattutto la produzione in bottiglia, introducendo un secondo processo di fermentazione che garantisce al prodotto la giusta stabilità e ne allunga la “shelf life; crescono i volumi, e da Maggio ad affiancare Alfredo è arrivato anche Riccardo Redaelli, ex-birraio al Babb di Brescia. La produzione attuale del birrificio è di circa 250 mila litri all’anno; un quarto destinato al consumo nel brewpub, dove si prediligono soprattutto birre “tedesche” da grande consumo come Helles, Weizen o Bock. Il resto della capacità produttive riguarda le bottiglie ed altri marchi che Manerba produce per conto terzi. Abbiamo assaggiato la Rebuffone, una dubbel belga la cui ricetta prevede malti pils, vienna, Melanoidinico, Caramello 50, Monaco, Caramonaco, Chocolate e, Black; i luppoli sono Saaz, Spalt Spalter e Styrian Goldings. E’ di un invitante color marrone rossastro, con un cappello di schiuma beige, cremosa, dalla buona persistenza. Al naso troviamo soprattutto esteri, frutta sotto spirito, uvetta e prugne, più in sottofondo una delicata speziatura dei lieviti, cacao, leggera vaniglia. In bocca sorprende per un’ottima morbidezza, abbinata ad un corpo leggero e ad una bassa carbonazione; la sensazione al palato è molto piacevole, con una sostanziale corrispondenza con l’aroma. Uvetta, prugne, pane nero, tostature e spezie, con una leggera nota alcolica che garbatamente riscalda la bevuta. Ci convince anche il finale secco, che ripulisce bene il palato e fa emergere un retrogusto abbastanza persistente, abboccato e caldo, di frutta sotto spirito con una piacevole nota di cacao. Una buona dubbel che abbina una discreta complessità ed intensità di gusto ad una grande facilità di bevuta; c’è già un buon livello di pulizia in bocca, e con qualche aggiustamento potrebbe diventare davvero ottima. Formato: 75 cl., alc. 6%, IBU 24, scad. 01/03/2013, prezzo: 6.45 Euro.
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english summary:
Brewery: Manerba Brewery, Italy.
Style: abbey dubbel
A deep brown reddish beer with a creamy beige head. The aroma brings dark fruits, raisins, plums, yeast spices, cocoa, with hints of vanilla. Clean, with a fair level of complexity. Very smooth, almost creamy mouthfeel, with light body and low carbonation. The taste is pretty much alike aroma, with dark fruits, dark bread, roasted malts and spices. A warm alcoholic touch is always present and leads to a fruity fiish, with hints of cocoa bitterness. A nice Belgian dubbel-style beer with a clean taste and easily drinkable. Bottle: 75 cl., 6% ABV, 24 IBUs, BBE 03/2013, price 6.45 Euro
martedì 9 ottobre 2012
Grand Canyon Black Iron IPA
Il motto della Grand Canyon Brewing Co. è “the real reason to visit the Grand Canyon”; in pratica affermano di essere il vero motivo per il quale la gente dovrebbe recarsi nello splendido scenario che accoglie circa cinque milioni di visitatori ogni anno. Viene fondata nel 2007 da Josh e John Peasley a Williams (Arizona), la cittadina che più si trova vicino (circa cento chilometri) all'ingresso sud del Grand Canyon National Park. Grazie anche al trovarsi in un'area abbastanza desolata che offre ben pochi svaghi, a parte le escursioni naturalistiche, il brewpub ha ottenuto in poco tempo un buon successo al punto da spingere i proprietari a.... chiuderlo ! L'intero locale è stato infatti dedicato alla produzione, con l'installazione di nuovi fermentatori; chi desidera quindi provare una birra deve rivolgersi ad un pub adiacente. La distribuzione - spine, bottiglie e lattine - è molto capillare nell'Arizona del Nord, soprattutto nei "general store" che circondano il Grand Canyon National Park. Come "souvenir" ci siamo messi in valigia una lattina di Black Iron, una India Pale Ale dal bel color dorato con riflessi arancioni; la schiuma non è particolarmente generosa ma fine, cremosa e ha buona persistenza. Ammettiamo di averla stappata senza grosse aspettative, ed invece al naso c'è un buon livello di pulizia: leggeri sentori di aghi di pino e poi agrumi, con pompelmo ed arancio. Un po' meno pulita in bocca: bene la prima parte della bevuta, dolce, con biscotto, caramello, e polpa di pompelmo; le cose peggiorano sensibilmente quando è il momento dell'amaro (ancora pompelmo, scorza) che mostra un po' troppa timidezza e poca intensità. Invece d'impennarsi, questa IPA sembra spegnersi in corsa; si salva proprio in fondo, con bel taglio secco preludio ad un bel retrogusto amaro, questa volta abbastanza lungo ed intenso, ricco di resina, scorza di pompelmo e note vegetali, che lascia un buon ricordo. Una IPA discreta, che apre con un bell'aroma ma con qualche alto e basso di troppo al palato; risulta un po' slegata e poco armonica per reggere il confronto con altre concorrenti a stelle e strisce. La lattina incomprensibilmente non riporta la gradazione alcolica, ma ci è risultata molto facile da bere, grazie anche ad una carbonazione moderata. Si trova ad un prezzo interessante; se siete nella zona ed avete sete, potete senz'altro mettere nel carrello un bel 6 pack. Formato: 35.5 cl., alcool, lotto e scadenza non riportati, prezzo 1.16 Euro ($ 1.39).
lunedì 8 ottobre 2012
Toccalmatto Jadis
Jadis è una delle birre stagionali di Toccalmatto, una "double" blanche che viene prodotta in inverno utilizzando malti d'orzo, di grano, fiocchi di frumento. I luppoli sono Cascade e E. K. Goldings, mentre viene anche aggiunto mosto di uva Fortana, un vitigno molto diffuso nelle pianure sabbiose della provincia di Ferrara e Ravenna, ma anche lungo il corso del fiume Taro che attraversa la provincia di Parma e che si trova quindi in prossimità della sede del birrificio. Nel bicchiere è di un bel color oro antico, velato; la schiuma è leggermente "sporca", fine e cremosa, dalla discreta persistenza. C'è buona intensità e pulizia al naso, subito aspro, con sentori di mela verde, banana acerba, uva spina, cereali ed una gradevole speziatura che viene data dai lieviti. In bocca aprono note di pane e di cereali, seguite da note fruttate di agrumi e leggermente acidule di uva spina. La carbonazione un po' sotto tono non le dona particolare vitalità, spegnendo forse anche un po' la speziatura dei lieviti. Finisce abbastanza corta, un po' etilica, fruttata e delicatamente speziata; correttamente secca, pulisce molto bene il palato ad ogni sorso anche se in bocca potrebbe essere un po' più pulita. La definizione di "blanche invernale" ci è parsa assolutamente appropriata; Jadis si mantiene leggera e piacevolmente rinfrescante per tutta la prima parte della bevuta, mentre è solamente nel finale che emerge una nota alcolica (superiore per intensità a quella dichiarata, 6.5%) a riscaldare in modo piacevole e morbido. Formato: 75 cl., alc. 6.5%, lotto 12002, scad. 17/01/2013, prezzo 8.00 Euro.
domenica 7 ottobre 2012
Bootleggers Rustic Rye IPA
La Bootleggers Brewery viene fondata da Aaron Barkenhagen a Fullerton, California del Sud; siamo nel nord della contea di Orange, una cinquantina di chilometri a sud di Los Angeles. Homebrewer dall'età di 19 anni, Aaron si trova ad affrontare il classico problema di chi produce troppa birra rispetto a quella che riesce a bere; diviene così il fornitore di amici e conoscenti, i quali si dichiarano tutti disposti ad acquistarle se fossero in vendita. Aaron abbozza un piano per mettere in piedi un birrificio; scopre che nel nord della contea di Orange non ci sono altri birrifici ed a Fullerton c'è un edificio disponibile, a pochi isolati dal centro città. Una location perfetta dove mettere le radici ed aprire un'immancabile tasting room facilmente raggiungibile anche a piedi da chi si trova downtown. Dopo un anno di lavori e di ristrutturazione (lo stabile ospitava in precedenza un magazzino di legname) nell'Aprile del 2008 viene versata la prima pinta di Bootlegger, con il nome (contrabbandiere) che richiama sia il periodo del proibizionismo che l'attività di homebrewer di Aaron. In questo bel video potete vedere un breve ma intenso profilo del birrificio; l'offerta si compone di cinque birre disponibili tutto l'anno e di una dozzina tra produzioni stagionali e limitate. Purtroppo non siamo riusciti a reperire una bottiglia di Knuckle Sandwich, considerata una delle migliori Double IPA West Coast, e ci siamo dovuti "accontentare" della Rustic Rye IPA che, come il nome suggerisce, viene brassata con l'utilizzo di segale. Prodotta per la prima volta in Gennaio 2009, si presenta di color ambrato, velato; la schiuma è molto generosa, bianca, cremosa. Al naso spiccano sentori di agrumi, soprattutto pompelmo, floreali, di cereali ed una discreta componente rustica e terrosa tipica della segale; l'aroma non è particolarmente pronunciato, ma c'è un'ottima pulizia. Al palato è molto snella e beverina, con una carbonazione media e quasi nessuna traccia di quella ruvidezza che potrebbe portare l'utilizzo di segale. Il gusto è da subito caratterizzato da agrumi, quasi sciropposo (arancio e pompelmo) e non ci sono ulteriori variazioni sino alla fine del percorso. Chiude molto secca, con un amaro abbastanza intenso ricco di scorza di pompelmo ma anche di note terrose, che perdurano nel lungo retrogusto. IPA molto facile da bere, molto rinfrescante, ha una discreta intensità ed un buon livello di pulizia anche se non riesce ad entusiasmarci completamente. Formato: 65 cl., alc. 6.2%, IBU 91, lotto e scadenza non riportati, prezzo: 3.57 Euro ($ 4.29).
venerdì 5 ottobre 2012
Paulaner Salvator
Oggi ospitiamo un pezzo di storia, una birra che ha dato vita ad uno stile brassicolo, quello chiamato doppelbock, la cui origine risale alla fine del diciottesimo secolo. Facciamo però un ulteriore salto indietro, quando tra il 1630 ed il 1670 viene fondato il monastero di Neudeck ob der Au, nei pressi di Monaco di Baviera da parte dei monaci Paulaner. Come in ogni monastero, per affrontare il periodo più duro dell'anno, ossia il digiuno imposto dalla Quaresima, si preparava una birra molto più forte di quelle prodotte abitualmente che veniva consumata in grande abbondanza in sostituzione del cibo, ma non solo: siccome vigeva la credenza che i liquidi avevano la funzione di ripulire sia il corpo che l'anima, una birra particolarmente forte avrebbe avuto un potere "purificante" ancora più grande. I monaci Paulaner avevano tuttavia il timore che il bere in grandi quantità un liquido così buono fosse un atto molto edonistico e poco rispettoso della Quaresima; decisero quindi di chiedere direttamente il parere del Papa, e inviarono un barile di birra al suo giudizio. La (s)fortuna volle che il barile, nel suo lungo viaggio dalla Baviera a Roma, subì notevoli maltrattamenti e fu esposto a delle temperature non esattamente ottimali per la sua conservazione. Quello che giunse a Roma fu un liquido completamente acidulo ed assolutamente imbevibile, ed il Papa pensò che una bevanda così cattiva doveva certamente avere degli effetti positivi e purificatori su chi la beveva. Diede la sua benedizione e acconsentì che i monaci di Paulaner continuassero a produrre la loro birra con la coscienza pulita. Sebbene fosse inizialmente prodotta solamente per il consumo interno, i monaci iniziarono anche ad offrire ed a vendere la birra al popolo anche in assenza del necessario "permesso" che doveva essere concesso dall'autorità che in quel periodo coincideva con il Conte Karl-Theodor. Tale permesso arrivò solamente nel 1780, ma già nel 1799 la produzione s'interruppe definitivamente in quanto il nuovo impero Napoleonico e la successiva secolarizzazione vietarono alla Chiesa qualsiasi attività commerciale portando alla dissoluzione del convento. Il birrificio fu abbandonato sino al 1813, quando Franz Xaver Zacherl riuscì ad acquistarlo; gli inizi non furono molto facili, in quanto l'amministrazione territoriale non vedeva di buon occhio il nuovo birrificio, imputandogli la responsabilità di tutte quelle persone ubriache che turbavano la quiete pubblica. Erano molto frequenti le citazioni in giudizio, ed è proprio nella trascrizione di un'udienza del 10 Novembre 1835 che per la prima volta viene riportata, in un documento scritto, l'esistenza di una birra chiamata Salvator. Zacherl ottenne finalmente il permesso definitivo di birrificare da parte dell'Imperatore Ludovico I nel 1837, e continuò ogni anno sino alla sua morte, nel 1846, a servire una doppelbock nel periodo di Quaresima. L'amore che Ludovico aveva per questa birra spinse pian piano altri birrifici di Monaco a produrne una simile, e così spuntarono decide di doppelbock tutte chiamate Salvator. Bene dunque fecero, i fratelli Schmederer che succedettero a Zacherl alla guida di Paulaner, a brevettare il nome nel 1894. Gli altri birrifici furono quindi costretti a cambiare il nome alla propria birra, e ne scelsero uno che terminasse con il suffisso -ator, a richiamare la famosa Salvator. Oggi si calcola che in Germania ci siano circa duecento nomi di birra registrati che terminano in "ator". Se quindi acquistate una bottiglia sulla cui etichetta compare questo suffisso, potete essere al 99% certi che si tratta di una doppelbock. La Paulaner odierna vanta di produrre una doppelbock assolutamente fedele a quella chiamata Sankt Vaters Bier che fu elaborata dal frate Barnaba nel 1773. Difficile comunque credere che oltre due secoli fa la Salvator avesse questo bel color ambra con sfumature ramate, velato; il cappello di schiuma che forma è beige chiaro, ha buona persistenza e cremosità. L'aroma ha caramello, sentori di pane nero, frutta secca, amaretto, una lieve speziatura dei lieviti e anche una tenue nota alcolica. C'è un buon livello di complessità, anche se la pulizia non è impeccabile. Meglio in bocca, dove la Salvator ha una consistenza quasi cremosa che la rende molto morbida e gradevole. Il corpo è medio, e la carbonazione moderata. Il bel profilo di malto porta frutta secca, note di biscotto, toffee, frutta sotto spirito (uvetta ed albicocca), spezie da lievito; l'alcool riscalda sempre la bevuta, senza mai comprometterne minimamente la facilità di bevuta. Il percorso continua in linea retta, senza nessuna deviazione, terminando in un finale molto caldo ed abboccato, ricco di frutta sotto spirito. Birra convincente, senza dubbio la migliore Paulaner, intensa ed abbastanza pulita, si presta sia ad abbinamenti con pietanze sostanziose come vuole la gastronomia tedesca ma può essere anche un'ottima compagna da dopocena. Rapporto qualità prezzo disarmante. Formato: 50 cl., alc. 7.9%, lotto 29314Z, scad. 10/2012, prezzo 1.08 Euro.
giovedì 4 ottobre 2012
Petrus Blond
La Brouwerij Bavik nasce nel 1894 e, dopo l’avvicendarsi di quattro generazioni, è ancora nella mani della famiglia De Brabandere. Diversi sono i marchi che il birrificio produce, tra i quali abbiamo in passato assaggiato la poco memorabile Wittekerke. La gamma Petrus viene lanciata nel 1982, per risollevare un po’ la situazione economica del birrificio messo in difficoltà dalla grande distribuzione che offriva birre sempre più economiche e sempre più blande. Per il lancio commerciale, venne anche sponsorizzata la squadra di calcio del KSV Waregem che, per una decina d’anni, mostrò la scritta “Petrus” sulle proprie maglie. La squadra, che ottenne tre qualificazioni alla Coppa Uefa, inclusa una semifinale, iniziò il suo declino con la retrocessione in seconda divisione nel 1996, in terza nel 1999 e la dissoluzione per dissesto finanziario nel 2001, quando avvenne la fusione con lo S.V. Zulte-Waregem, tutt’ora in vita. Meglio quindi concentrarsi sulla gamma di birre Petrus, davvero completa, che include una Oud Bruin, una Tripel, una Dubbel. una natalizia (Winter#9), una Aged Pale e una Blond che andiamo a degustare. Bel color oro, carico, leggermente velato; la schiuma è bianca, fine e cremosa, dalla buona persistenza. Al naso, pulitissimo, risalta subito una bella speziatura donata dai lieviti, gradevolmente piccante, seguita da note fruttate che richiamano l’albicocca e la polpa d’arancio. In bocca è una birra caratterizzata da una grande vivacità, con una carbonazione sostenuta che interagisce benissimo con la speziatura dei lieviti, esaltandone il profilo; l’imbocco maltato di pane è seguito da note fruttate che richiamano l’aroma (arancio ed albicocca), per un una bevuta che si mantiene sul dolce, chiudendo su un finale abboccato che ripropone lo stesso fruttato sciroppato. Blond dall'ottimo aroma, pulito e convincente, mentre in bocca il livello scende leggermente anche a causa di una pulizia meno accurata. Facile da bere, ben fatta, ottimo rapporto qualità prezzo (italico). Formato: 75 cl., alc. 6.6%, scad. 10/10/2013, prezzo 3.99 Euro.
mercoledì 3 ottobre 2012
Stone Oaked Arrogant Bastard Ale
La Stone Arrogant Bastard Ale è una delle birre che hanno meglio contribuito a consolidare la fama del birrificio di Escondido, California. Facciamo quindi un passo indietro nel tempo, al 1995 quando Steve Wagner, da poco acquistato un nuovo impianto da homebrewer, sta cercando di affinare la ricetta di quella che tra pochi mesi sarà la prima birra ad essere commercializzata, ovvero la Stone Pale Ale. Il nuovo impianto, più capiente, crea qualche difficoltà e Steve si accorge di aver completamente sbagliato la percentuale degli ingredienti. E non di poco. E' sera, è tardi, e piuttosto che gettare via tutto lui e Greg Koch decidono di finire ugualmente la birra, per vedere che cosa ne esce. Qualche settimana dopo l'assaggiano, ed entrambi ne sono stupefatti; la trovavano fantastica, ma sono anche consapevoli che praticamente nessun bevitore abituale di birra l'avrebbe apprezzata per la sua incredibile intensità. Il nome Arrogant Bastard Ale, viene quasi spontaneo, ma Koch e Wagner sanno anche che non potrà essere quella la prima birra messa in vendita dalla Stone. Un paio di anni dopo, nel 1997, il birrificio non naviga esattamente nell'oro ed il consiglio direttivo si riunisce per decidere le strategie commerciali per garantire la sopravvivenza dell'azienda; l'Arrogant Bastard Ale non era mai stata riprodotta, dopo quella prima cotta "sbagliata", ma il nome sembrava a tutti qualcosa che avrebbe commercialmente funzionato e che avrebbe incuriosito molta gente. Kock e Wagner sono ancora titubanti, non vogliono che il birrificio diventi famoso solamente per aver fatto una birra estrema ed "esagerata". Il primo segnale incoraggiante è la messa in vendita, al birrificio, di una serie di bicchieri (pinte) con la serigrafia Arrogant Bastard Ale, ancora prima che venga prodotta la birra. Vendute tutte in pochissimo tempo. Kock si "rassegna" a produrre la birra, ma decide di mettere "in guardia" i potenziali clienti elaborando la lunga descrizione che compare sul retro della bottiglia, guidata dal motto "you're not worthy", ovvero "non sei degno". Ricorda Kock: "siamo una nazione di mangiatori di fast food e di bevitori di un liquido giallastro e gassato che chiamano birra... la maggioranza della gente non era sicuramente degna di bere questa bitta. Non volevo che qualcuno la comprasse per poi vuotarla nel lavandino; inoltre, la nostra idea iniziale era di farne solamente una cotta, un'edizione limitata e quindi destinarla soltanto a quei pochi individui che l'avrebbero apprezzata". Il motto funzionò però al contrario, risultando a molte persone una specie di "sfida" che li motivava ad acquistare ed a provare la birra. "Agli eventi - racconta sempre Kock - la gente veniva al nostro stand, vedeva le bottiglie, e la voleva provare solo per il suo nome. Ma io dicevo loro di no. Prima dovete assaggiare la Stone Pale Ale, poi la Smoked Porter, poi la IPA e solo dopo, se siete interessati ad andare avanti, ve la farò assaggiare". La nuova birra funzionò come un traino per tutte le altre, portando molti novizi della craft beer a scoprire birre per loro inusuali come una porter o una IPA. Nel 2004 nasce l'idea di ammorbidire un po' l'Arrogant Bastard utilizzando dei chip di quercia; le sottili note di vaniglia derivanti dal legno avrebbero un po' smussato gli spigoli della versione regolare. La Oaked Arrogant Bastard Ale viene prodotta come edizione speciale per la prima volta a Novembre e nel 2006, sempre a Novembre, entra a far parte della gamma di birre che vengono prodotte tutto l'anno. E' di uno splendido color ambrato, molto carico, con degli intensi riflessi rosso rubino; perfetta la schiuma che forma: molto fine e compatta, cremosa, molto persistente. La bottiglia che abbiamo bevuto era purtroppo in scadenza (90 giorni dopo la data di produzione) e la poca freschezza è evidente al naso, dove non troviamo gli attesi sentori resinosi di luppolo; l'aroma complesso, con sentori di caramello, terrosi, di legno bagnato, quasi di sottobosco, che tendono a dominare man mano che la temperatura della birra si alza. In sottofondo qualche nota di "dark fruits" (mirtilli, prugne) ed una ormai quasi impercettibile componente vegetale (un tempo resinosa ?) leggermente pepata. In bocca troviamo toffee, scorza d'arancio, una leggera legnosità e qualche remoto sentore di vaniglia; è una birra molto secca, con il gusto che nel corso della bevuta evolve verso un deciso terroso (assimilabile al terriccio umido) con un finale amaro, molto intenso ma poco persistente, dove convivono resina e terra. L'alcool è molto ben nascosto, ma quello che abbiamo nel bicchiere ci sembra più un ricordo un po' svanito e quasi agonizzante di un'american strong ale che cerca di risorgere tra legno e terra. Carbonazione molto bassa, corpo medio, buona morbidezza in bocca; il risultato è molto complesso, un po' spiazzante, che invoglia ad una lenta degustazione sorso a sorso piuttosto che ad una tranquilla ed appagante bevuta. Non abbiamo nessun termine di paragone con esemplari più freschi o meno maltrattati, ma in queste condizioni non è una birra che berremmo tutti i giorni. Formato: 35.5 cl., alc. 7.2%, scad. 13/8/2012, prezzo Euro 2.16 ($ 2.59).
martedì 2 ottobre 2012
Golden Road Point the Way IPA
Sono circa 200 i chilometri che separano Los Angeles da San Diego, ma se guardiamo all'offerta di birra la distanza è purtroppo quasi astrale. Tuttavia negli ultimi anni anche in quello che sembrava un deserto è apparso qualche tiepido segno di vita; stanno infatti aprendo diversi bar e ristoranti dove è possibile bere molto bene, e anche se a farla da padrone sono le birre che arrivano dalla contea di San Diego, si sta timidamente affacciando alla finestra anche qualche birrificio locale. Uno di questi è Golden Road, fondato nel 2011 da Tony Yanow e Meg Gill: molto attivo nella scena brassicola di Los Angeles, Yanow è proprietario del Tony’s Darts Away, un'interessante bar con un'ampia offerta di craft beers, ed assieme ad altri proprietari di bar fu protagonista nel 2011 dell'evento "ColLAboration", una serie di beer garden itineranti per promuovere la birra di qualità. Nel 2011 ha aperto anche il Mohawk Bend, un bar ristorante con ben 65 spine di birre Calforniane e 5 "ospiti" di altri stati americani. Meg Gill vanta invece esperienza come sales manager prima per la Oskar Blues (Colorado) e poi per Speakeasy. Come mastro birraio viene assunto Jonathan Carpenter, già assistente birraio alla Dogfish Head (leggiamo che ha anche collaborato all'apertura di Eataly New York) e con un passato in uno stabilimento del New Hampshire della Anheuser-Busch. A solamente un anno dell’apertura il birrificio ha già un’offerta abbastanza ampia: due birre prodotte tutto l’anno, due IPA stagionali, ed una decina di birre prodotte solamente per eventi o occasioni particolari. Il formato scelto per la distribuzione è principalmente la lattina, con una grafica molto ben curata. Questa Point the Way IPA viene prodotta tutto l’anno, utilizzando imprecisate varietà di luppoli del Nord-ovest Americano e della Nuova Zelanda, con un contenuto alcolico (5.2%) sensibilmente inferiore rispetto agli standard californiani. Di color rame, velato, forma nel bicchiere un “dito” scarso di schiuma, bianca e cremosa. Al naso troviamo sentori di pompelmo, erbacei, ed un insolita speziatura che ci ricorda lo zenzero, assieme a qualche note terrosa/di radice. Buona pulizia, ma molta poca California. E’ buona la sensazione al palato, invece: snella e watery quanto basta, mediamente carbonata, apre con una nota veloce di malto con note di frutta secca. Il resto del percorso è caratterizzato da pompelmo ed arancia, con un finale un po’ insolito che riporta esattamente al punto di partenza: scorza di pompelmo, radice, leggera speziatura (zenzero ?). IPA molto facile da bere e molto secca, si distacca dal cliché West Coast tutto resina/agrumi/tropicale per una nota di radice che l’attraversa trasversalmente dal capo alla coda. Discreta, non esattamente memorabile. Bonus per la splendida lattina. Formato: 47.3 cl (16 once), alc. 5.2%, lotto 16/07/2012, prezzo 1.88 Euro ($ 2.25).
lunedì 1 ottobre 2012
Stone Sublimely Self Righteous Ale
La Black IPA della Stone prende forma nel 2007, durante i festeggiamenti dell'undicesimo anniversario del birrificio. Mitch Steele, il birraio, era rimasto impressionato da una Black IPA chiamata Darkside, prodotta dal brewpub The Shed nel Vermont. La propone come candidata per essere la birra dell'anniversario, ma lo stile non sembra entusiasmare troppo Greg Kock, uno dei due proprietari. E' però sufficiente l'assaggio di un piccolo lotto "di prova" per fargli cambiare idea. Il successo - e la qualità - della birra è tale da far nascere subito l'idea d'inserirla nella produzione regolare; così commenta Steve Wagner nel libro The Craft of Stone Brewing Co.: "Amiamo tutte le nostre birre celebrative, ma sapevamo che quella dell'undicesimo anniversario sarebbe ritornata in produzione. Era semplicemente magnifica. Tutti i dipendenti del birrificio si erano fatti la loro scorta personale di bottiglie, ma ormai stavano finendo. Ne abbiamo discusso in un meeting e la decisione, unanime, è stata di produrla regolarmente". Mitch Steele vuole chiamare la birra San Diego Negro, ma per evitare problemi dovuti ad eventuali cattive interpretazioni del significato, si decide alla fine per il più "semplice" Sublimely Self Righteous Ale. Viene prodotta a Gennaio 2009 con Chinook, Simcoe ed Amarillo, più un dry hopping di Simcoe ed Amarillo. Una black IPA davvero sublime a partire dall'aspetto, di colore ebano scurissimo, che forma una schiuma beige generosa e molto persistente, compatta, fine e cremosa. Aroma in stato di grazia, raramente ci è capitato di trovare una finezza ed una pulizia tale da apprezzarne tutte le sfaccettature. Il primo impatto, balsamico, è di freschissimi aghi di pino, cui seguono sentori di pompelmo rosa, arancia e, più in secondo piano, legno affumicato. Grandi aspettative che in bocca non vengono assolutamente deluse: c'è una base di malto, leggermente tostato, poi è il pompelmo a guidare le danze. Estrema pulizia, gusto fragrante, preludio al finale lunghissimo, amaro e resinoso, con un po' di pompelmo, una nota pepata ed una leggera tostatura a movimentare il retrogusto. Birra dall'impressionante facilità di bevuta (alc. 8.7%) molto bilanciata e morbida al palato, dal corpo medio e dalla corretta carbonazione. Tiene assolutamente fede al suo stile, è una fantastica IPA di colore nero, senza sconfinare in nessun'altro territorio; non siamo soliti fare delle classifiche, ma senza dubbio questa è assolutamente una delle migliori (la migliore?) black IPA che abbiamo mai bevuto. E non siamo i soli a pensarla in questo modo: 100/100 su Ratebeer (terza miglior black IPA al mondo) e 94/100 su Beer Advocate (miglior American Black Ale al mondo). Se dobbiamo trovarle un difetto, è quello di finire troppo in fretta; per una volta abbiamo rimpianto il mancato acquisto del formato "bomber" (65 cl.). Formato: 35.5 cl., alc. 8.7%, IBU 90, scad. 07/12/2012, prezzo 2.08 Euro ($ 2.49).
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