Terzo ed ultimo mini-reportage americano; dopo le Session IPA che vi ho raccontato in questa occasione, è l’ora di passare alzare l’asticella e di passare "alle cose serie", potrebbe dire qualcuno. Per questa mia seconda trasferta americana ho volutamente deciso di tralasciare un po' la categoria delle IPA/IIPA, ma qualcuna c'è ugualmente scappata. Ecco allora una rapida carrellata di quanto bevuto; come vedrete l'esperienza - a parte un paio di episodi - è stata purtroppo tutt'altro che soddisfacente.
Da Lagunitas (Petaluma, California del Nord) ecco la Lagunitas Sucks, un nome abbastanza curioso che significa “Lagunitas fa schifo”. Il perché è presto svelato: nel 2011 Lagunitas non è in grado di produrre la sua birra stagionale invernale, chiamata Brown Shugga. Nell’attesa dell’arrivo di un nuovo impianto, la capacità produttiva è tutta impegnata nel produrre ogni tre ore 80 barili di PILS e di IPA e il birrificio non se la sente di sacrificare una buona parte della produzione di queste birre per fare un piccolo lotto della complessa Brown Shugga. Quindi si autodefiniscono “schifosi, incapaci” e decidono di sostituire la Brown Shugga con una birra meno impegnativa (per gli impianti) chiamata appunto Lagunitas Sucks (Brown Shugga Substitute Ale). Malto, segale, frumento, avena ed un parterre di luppoli composto da Chinook, Simcoe, Apollo, Summit, HBC342 e Nugget: ecco la ricetta di questa Lagunitas Sucks, che Ratebeer classifica come American Strong Ale (voto: 100/100) e BeerAdvocate come Double/Imperial IPA (voto: 97/100). Il successo di pubblico ha portato alla creazione di una pagina Facebook per chiedere a gran voce che fosse poi replicata e resa disponibile tutto l’anno. Il birrificio ha ascoltato le richieste degli “aficionados” e già ad Aprile del 2012, grazie all’aumentata capacità produttiva, promette di inserirla tra le birre prodotte stabilmente: le promesse vengono però mantenute con un po’ di ritardo ovvero ad Aprile di quest’anno, con l’annuncio della distribuzione in 6 pack e nel generoso formato da 32 once, praticamente un litro (qualcuno in Italia ci pensi… ci sono birre che meriterebbero questo formato). La bevibilità è senz’altro ottima, nonostante il contenuto alcolico (8%) non sia certo “sessionabile”, ma personalmente l’ho trovata abbastanza monocorde con la tendenza a saturare il palato già dopo il primo bicchiere. Limpida e dorata, naso di aghi di pino, erbe officinali, una nota di geranio; manca quasi del tutto quella componente fruttata/tropicale che ti fa pensare di essere sulla West Coast. Pulita e ben equilibrata in bocca, regala un po’ più di frutta tropicale su una base di malto (biscotto, nutty); è pulita, ha il corpo medio ed un finale quasi balsamico di resina ed erbe officinali. E’ l’amaro a limitare un po’ la bevuta, piuttosto che l’alcool, e sono costretto a vuotare nel lavandino parte di quel litro che mi ero prefisso di prosciugare in solitudine; mi resta il dubbio di aver bevuto una birra diversa da come dovrebbe essere. Il rapporto qualità-prezzo – come quasi tutte le Lagunitas – è comunque interessantissimo: cinque euro al litro. Bisogna invece un po’ impegnarsi (e ricorrere ad internet) per decifrare che la scritta al laser sulla bottiglia “154 4” indica una birra prodotta il cento cinquantaquattresimo giorno (3 giugno) del 2014.
Restiamo in California per passare alla Dust Bowl Brewing Company; siamo a Turlock, duecento chilometri a sud-est da Lagunitas; il birrificio è stato aperto nel 2009 da Brett Tate e dai partner Brett Honore e Dianne Drive. Ha annunciato proprio in questi giorni un ambizioso piano di espansione da 10 milioni di dollari per quadruplicare la capacità produttiva. Il birrificio non lesina nel produrre “big beers”, come testimonia questa pagina “imperializzando” quasi tutto: una Blanche/wit, una Alt, una Belgian Blonde. Delle due Double IPA prodotte, eccovi la Therapist, una bestia da 100 IBU e 10.4% di alcool che promette in etichetta di “non lasciarvi nessun’amarezza. Mettevi a sedere (ne avrete bisogno) e lasciate le vostre preoccupazioni al terapetua”. Il birrificio è a me nuovo, ma la bottiglia con un mese e mezzo di vita sulle spalle, è il motivo che mi spinge all’acquisto. La birra, di colore oro antico dalla limpidezza quasi inquietante, si rivela però molto più mansueta delle sue stesse minacce: l’aroma è quasi dimesso e poco fresco, nonostante la giovine età. Pompelmo, aghi di pino, caramello, qualche sentore di marmellata e di frutta tropicale non rappresentano certo quall’esplosione che t’aspetteresti. Poco carbonata e dal corpo medio, morbida, offre al palato biscotto e caramello a formare il sostegno per la generosa luppolatura che si sviluppa soprattutto in pungenti note resinose; l’alcool non disturba troppo ma i 10 gradi rendono la bevuta alquanto robusta. Non è scorrevole come le migliori IIPA West Coast, mette nel “piatto” molta poca frutta e dopo qualche sorso la noia si fa largo nel palato del bevitore, o almeno nel mio; evidenzia una discreta “muscolatura” resinosa, ma l’impressione è di una birra stanca, quasi poco fresca, ad un solo mese dall’imbottigliamento. Viene quasi da pensare che sia stata lasciata al caldo per un po' di tempo.
Ripercorriamo la West Coast in direzione nord per spostarci virtualmente in Oregon, alla Ninkasi Brewing Company di Eugene, fondata nel 2006 da Jamie Floyd e Nikos Ridge. Dal 2007 producono la loro Double IPA chiamata Tricerahops, la cui ricetta si compone di malti 2 Row, Munich e Carahell, luppoli Chinook, Cascade, Summit, Centennial e Palisade. 100 IBU x 8% ABV, con il risultato di una birra tra il dorato ed il ramato dalla schiuma biancastra, abbastanza fine e cremosa. L’aroma è molto poco entusiasmante, con tanta marmellata d’agrumi e qualche note tropicale di mango e papaya; completano caramello e fetta biscottata. Intensità bassa, freschezza non pervenuta. Da quanto ne so Ninkasi riporta la data d’imbottigliamento sui cartoni e consiglia di bere entro 60 giorni, peccato che chi acquista le bottiglie singole che non abbia nessun riferimento su quello che sta comprando. Oleosa, corpo medio, poche bollicine, è morbida al palato e tiene l’alcool molto ben nascosto. Quello che manca (ed in una IIPA è tutto) è la freschezza: biscotto, miele, marmellata caratterizzano il gusto, con l’amaro (resina e pompelmo) quasi assente e che riesce appena a bilanciare il dolce. Bottiglia molto poco godibile, che il lavandino finisce di bere al posto mio.
Dopo la breve escursione in Oregon, ritorno virtuale in California da Firestone Walker. Ho stappato con grande curiosità ed aspettative la loro Double Jack IPA, visto che in giro se ne parla assai bene e visto che mi è capitata una bottiglia con un mese scarso di vita sulle spalle. Svariati premi nel palmares, ed una ricetta che prevede malti Two-Row (Metcalf & Kendall), Munich e Simpson's Light Crystal. I luppoli per l'amaro sono Warrior, Columbus, Cascade e Centennial con un dry-hopping di Amarillo, Cascade, Centennial e Simcoe. E, finalmente, una Double IPA in un formato regolare (35 cl.) che non impegna più di tanto chi non ha intenzione di bere solo quella nel corso di una serrata. Aspetto oro antico, con riflessi ramati, limpido e cremosa schiuma biancastra dalla buona persistenza. Naso quasi imbarazzante: un po ' di biscotto, marmellata d'agrumi ed una leggera presenza etilica. Il contrario di quello che ti aspetteresti da una bottiglia ancora molto fresca. Non è che in bocca le cose migliorino più di tanto: luppoli quasi scomparsi, rimangono i malti (biscotto, "nutty"), un corpo medio, poche bollicine. Nessuna traccia di West Coast, un lieve warming etilico finale ed un amaro resinoso non molto intenso; quel che resta di una Double IPA è pulito e bevibile, ma la delusione è davvero tanta e mi ritrovo ad imprecare verso la famigerata "bottiglia sfortunata".
Per trovare finalmente una buona, ottima Double IPA mi devo rispostare a Nord, nella cittadina di Auburn, sulla strada che collega Reno (Nevada) a Sacramento, la capitale della California. Knee Deep era un birrificio che avevo sulla wishlist e che avevo già incontrato un paio di anni fa: nato a Reno, si era poi spostato a Lincoln ed era in attesa di ritraslocare in Nevada dove, se non erro, c'è un regime di tassazione molto più favorevole per le imprese rispetto alla California. Ma ad Aprile 2013 il fondatore Jerry Moore ed il suo socio, il birraio Jeremy Warren, annunciano di avere ottenuto la licenza dalla cittadina ai Auburn (California), che tra l'altro fornisce l'acqua proprio al paese di Lincoln, precedente sede del birrificio. Pare che sia stato proprio questo uno dei fattori decisivi: mantenere la stessa acqua utilizzata sino ad allora senza dover investire in impianti di trattamento. Che sia vero o no, alla fine dell'estate 2013 la Knee Deep riapre nell'ampia sede (1500 metri quadri) di un capannone adiacente all'aeroporto di Lincoln; qualche mese dopo viene inaugurato la taproom, affiancata da qualche food truck che rifornisce di cibo i bevitori.
Avevo in lista la loro Double IPA più famosa, chiamata Simtra, ma avendo incontrato solo delle bottiglie non molto fresche ho preferito ripiegare sulla nuova nata in casa Knee Deep, la Triple IPA chiamata Hoparillo. Simpatica l'etichetta che raffigura e riporta il nome dei tre luppoli utilizzati: Citra, Mosaic ed Amarillo, per 122 IBU e 11,1% di alcool. Sembrerebbe un pericoloso animale ultraluppolato da sorseggiare lentamente ed invece ti ritrovi a finirla con (relativa) facilità: anche lei quasi limpida, una testa di schiuma molto persistente e compatta, bianca, su di una basa color oro antico, quasi limpido. Un mese dall'imbottigliamento e finalmente un aroma degno di essere chiamato tale: fresco e pungente, pulitissimo e piacione. Una sorta di macedonia che porta mango, papaya, maracuja, lampone e fragola, pesca, pompelmo. Il corpo è medio, con una morbidezza al palato quasi inaspettata: davvero gradevole. Dalla base di malto (biscotto e caramello) si passa ad un bel fruttato tropicale che richiama l'aroma (soprattutto mango, ananas, pesca e papaya) per poi concludere con un bel finale amaro, intenso e pungente, resinoso. Pulitissima, potente ma molto ben equilibrata, con l'alcool che si manifesta in maniera molto subdola: irrobustisce quasi delicatamente la bevuta per poi presentare il conto solo quando la bottiglia è finita ed è già troppo tardi. Se penso ad una Double IPA West Coast penso al classico "bigger is better" americano e questa birra ne è in un certo senso l'incarnazione: non è qualcosa che berresti tutti i giorni, non è replicabile in nessun'altra parte del mondo ed è sproporzionata e superflua nel suo formato da 65 cl. ad uso singolo. Un po' come noleggiare una "Limo" (limousine ) per farsi accompagnare all'aeroporto, o come un weekend a Las Vegas.
Nei dettagli:
Lagunitas Sucks, 94.6 cl., alc. 8%, IBU 63,21, lotto 154 4 1 7014 1949, pagata 4,54 Euro ($ 5,99 beershop)
Dust Bowl Therapist, 65 cl., alc. 10.4%, IBU 100, lotto 03/07/2014, pagata 5.30 Euro ($ 6,99 supermercato)
Ninkasi Tricerahops, 65 cl., alc. 8%, IBU 100, pagata 4,54 Euro ($ 5,99 beershop)
Firestone Walker Double Jack IPA, 35.5 cl., alc. 9.5%, lotto 09/07/2014, pagata 2.64 Euro ($ 3,49 supermercato)
Knee Deep Hoparillo 3x IPA, 65 cl., alc. 11.1%, IBU 122, lotto 16/07/2014, pagata 5.30 Euro ($ 6,99, beershop)
Restiamo in California per passare alla Dust Bowl Brewing Company; siamo a Turlock, duecento chilometri a sud-est da Lagunitas; il birrificio è stato aperto nel 2009 da Brett Tate e dai partner Brett Honore e Dianne Drive. Ha annunciato proprio in questi giorni un ambizioso piano di espansione da 10 milioni di dollari per quadruplicare la capacità produttiva. Il birrificio non lesina nel produrre “big beers”, come testimonia questa pagina “imperializzando” quasi tutto: una Blanche/wit, una Alt, una Belgian Blonde. Delle due Double IPA prodotte, eccovi la Therapist, una bestia da 100 IBU e 10.4% di alcool che promette in etichetta di “non lasciarvi nessun’amarezza. Mettevi a sedere (ne avrete bisogno) e lasciate le vostre preoccupazioni al terapetua”. Il birrificio è a me nuovo, ma la bottiglia con un mese e mezzo di vita sulle spalle, è il motivo che mi spinge all’acquisto. La birra, di colore oro antico dalla limpidezza quasi inquietante, si rivela però molto più mansueta delle sue stesse minacce: l’aroma è quasi dimesso e poco fresco, nonostante la giovine età. Pompelmo, aghi di pino, caramello, qualche sentore di marmellata e di frutta tropicale non rappresentano certo quall’esplosione che t’aspetteresti. Poco carbonata e dal corpo medio, morbida, offre al palato biscotto e caramello a formare il sostegno per la generosa luppolatura che si sviluppa soprattutto in pungenti note resinose; l’alcool non disturba troppo ma i 10 gradi rendono la bevuta alquanto robusta. Non è scorrevole come le migliori IIPA West Coast, mette nel “piatto” molta poca frutta e dopo qualche sorso la noia si fa largo nel palato del bevitore, o almeno nel mio; evidenzia una discreta “muscolatura” resinosa, ma l’impressione è di una birra stanca, quasi poco fresca, ad un solo mese dall’imbottigliamento. Viene quasi da pensare che sia stata lasciata al caldo per un po' di tempo.
Ripercorriamo la West Coast in direzione nord per spostarci virtualmente in Oregon, alla Ninkasi Brewing Company di Eugene, fondata nel 2006 da Jamie Floyd e Nikos Ridge. Dal 2007 producono la loro Double IPA chiamata Tricerahops, la cui ricetta si compone di malti 2 Row, Munich e Carahell, luppoli Chinook, Cascade, Summit, Centennial e Palisade. 100 IBU x 8% ABV, con il risultato di una birra tra il dorato ed il ramato dalla schiuma biancastra, abbastanza fine e cremosa. L’aroma è molto poco entusiasmante, con tanta marmellata d’agrumi e qualche note tropicale di mango e papaya; completano caramello e fetta biscottata. Intensità bassa, freschezza non pervenuta. Da quanto ne so Ninkasi riporta la data d’imbottigliamento sui cartoni e consiglia di bere entro 60 giorni, peccato che chi acquista le bottiglie singole che non abbia nessun riferimento su quello che sta comprando. Oleosa, corpo medio, poche bollicine, è morbida al palato e tiene l’alcool molto ben nascosto. Quello che manca (ed in una IIPA è tutto) è la freschezza: biscotto, miele, marmellata caratterizzano il gusto, con l’amaro (resina e pompelmo) quasi assente e che riesce appena a bilanciare il dolce. Bottiglia molto poco godibile, che il lavandino finisce di bere al posto mio.
Dopo la breve escursione in Oregon, ritorno virtuale in California da Firestone Walker. Ho stappato con grande curiosità ed aspettative la loro Double Jack IPA, visto che in giro se ne parla assai bene e visto che mi è capitata una bottiglia con un mese scarso di vita sulle spalle. Svariati premi nel palmares, ed una ricetta che prevede malti Two-Row (Metcalf & Kendall), Munich e Simpson's Light Crystal. I luppoli per l'amaro sono Warrior, Columbus, Cascade e Centennial con un dry-hopping di Amarillo, Cascade, Centennial e Simcoe. E, finalmente, una Double IPA in un formato regolare (35 cl.) che non impegna più di tanto chi non ha intenzione di bere solo quella nel corso di una serrata. Aspetto oro antico, con riflessi ramati, limpido e cremosa schiuma biancastra dalla buona persistenza. Naso quasi imbarazzante: un po ' di biscotto, marmellata d'agrumi ed una leggera presenza etilica. Il contrario di quello che ti aspetteresti da una bottiglia ancora molto fresca. Non è che in bocca le cose migliorino più di tanto: luppoli quasi scomparsi, rimangono i malti (biscotto, "nutty"), un corpo medio, poche bollicine. Nessuna traccia di West Coast, un lieve warming etilico finale ed un amaro resinoso non molto intenso; quel che resta di una Double IPA è pulito e bevibile, ma la delusione è davvero tanta e mi ritrovo ad imprecare verso la famigerata "bottiglia sfortunata".
Per trovare finalmente una buona, ottima Double IPA mi devo rispostare a Nord, nella cittadina di Auburn, sulla strada che collega Reno (Nevada) a Sacramento, la capitale della California. Knee Deep era un birrificio che avevo sulla wishlist e che avevo già incontrato un paio di anni fa: nato a Reno, si era poi spostato a Lincoln ed era in attesa di ritraslocare in Nevada dove, se non erro, c'è un regime di tassazione molto più favorevole per le imprese rispetto alla California. Ma ad Aprile 2013 il fondatore Jerry Moore ed il suo socio, il birraio Jeremy Warren, annunciano di avere ottenuto la licenza dalla cittadina ai Auburn (California), che tra l'altro fornisce l'acqua proprio al paese di Lincoln, precedente sede del birrificio. Pare che sia stato proprio questo uno dei fattori decisivi: mantenere la stessa acqua utilizzata sino ad allora senza dover investire in impianti di trattamento. Che sia vero o no, alla fine dell'estate 2013 la Knee Deep riapre nell'ampia sede (1500 metri quadri) di un capannone adiacente all'aeroporto di Lincoln; qualche mese dopo viene inaugurato la taproom, affiancata da qualche food truck che rifornisce di cibo i bevitori.
Avevo in lista la loro Double IPA più famosa, chiamata Simtra, ma avendo incontrato solo delle bottiglie non molto fresche ho preferito ripiegare sulla nuova nata in casa Knee Deep, la Triple IPA chiamata Hoparillo. Simpatica l'etichetta che raffigura e riporta il nome dei tre luppoli utilizzati: Citra, Mosaic ed Amarillo, per 122 IBU e 11,1% di alcool. Sembrerebbe un pericoloso animale ultraluppolato da sorseggiare lentamente ed invece ti ritrovi a finirla con (relativa) facilità: anche lei quasi limpida, una testa di schiuma molto persistente e compatta, bianca, su di una basa color oro antico, quasi limpido. Un mese dall'imbottigliamento e finalmente un aroma degno di essere chiamato tale: fresco e pungente, pulitissimo e piacione. Una sorta di macedonia che porta mango, papaya, maracuja, lampone e fragola, pesca, pompelmo. Il corpo è medio, con una morbidezza al palato quasi inaspettata: davvero gradevole. Dalla base di malto (biscotto e caramello) si passa ad un bel fruttato tropicale che richiama l'aroma (soprattutto mango, ananas, pesca e papaya) per poi concludere con un bel finale amaro, intenso e pungente, resinoso. Pulitissima, potente ma molto ben equilibrata, con l'alcool che si manifesta in maniera molto subdola: irrobustisce quasi delicatamente la bevuta per poi presentare il conto solo quando la bottiglia è finita ed è già troppo tardi. Se penso ad una Double IPA West Coast penso al classico "bigger is better" americano e questa birra ne è in un certo senso l'incarnazione: non è qualcosa che berresti tutti i giorni, non è replicabile in nessun'altra parte del mondo ed è sproporzionata e superflua nel suo formato da 65 cl. ad uso singolo. Un po' come noleggiare una "Limo" (limousine ) per farsi accompagnare all'aeroporto, o come un weekend a Las Vegas.
Nei dettagli:
Lagunitas Sucks, 94.6 cl., alc. 8%, IBU 63,21, lotto 154 4 1 7014 1949, pagata 4,54 Euro ($ 5,99 beershop)
Dust Bowl Therapist, 65 cl., alc. 10.4%, IBU 100, lotto 03/07/2014, pagata 5.30 Euro ($ 6,99 supermercato)
Ninkasi Tricerahops, 65 cl., alc. 8%, IBU 100, pagata 4,54 Euro ($ 5,99 beershop)
Firestone Walker Double Jack IPA, 35.5 cl., alc. 9.5%, lotto 09/07/2014, pagata 2.64 Euro ($ 3,49 supermercato)
Knee Deep Hoparillo 3x IPA, 65 cl., alc. 11.1%, IBU 122, lotto 16/07/2014, pagata 5.30 Euro ($ 6,99, beershop)
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